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Assoimmobiliare riunita a Milano contro una brutta idea del governo

Mariarosaria Marchesano

Cosa non va nel piano del Mef di voler vendere immobili pubblici per 18 miliardi nel 2019 e di puntare a un totale di dismissioni pari a 30 miliardi nel prossimo triennio

Pur di far quadrare i conti della manovra economica, il Mef ha dichiarato di voler vendere immobili pubblici per 18 miliardi nel 2019 e di puntare a un totale di dismissioni pari a 30 miliardi nel prossimo triennio. Tralasciando ogni considerazione su quanto sia ambizioso tale piano, considerato lo scarso appeal che da sempre il mattone di Stato gode agli occhi degli investitori a causa soprattutto dei vincoli urbanistici, è sorprendente che il governo con una mano voglia spingere i suoi palazzi sul mercato e con l’altra ne deprima il valore approvando una legge che aumenta in modo inaspettato il carico fiscale. Il tema è stato sollevato dalle associazioni di categoria, Ance e Assoimmobiliare, entrambe aderenti a Confindustria. E la loro contestazione fa emergere sia la completa incoerenza del provvedimento rispetto agli obiettivi dichiarati di finanza pubblica sia la possibilità di un errore di calcolo da parte di chi, in Parlamento, ha elaborato la legge e fatto i conti.

 

“Il decreto legislativo approvato il 28 novembre toglie la deducibilità integrale degli interessi passivi sugli immobili destinati a locazione”, spiega Silvia Rovere che ieri ha presieduto l’assemblea nazionale di Assoimmobiliare – che per la prima volta si è svolta a Milano, dove è stata anche avviata una nuova sede in piazza Borromeo. Va precisato che il regime speciale si giustifica con il peso che gli oneri finanziari hanno sul fatturato in questo settore – che rappresenta il 18 per cento del Pil nazionale – rispetto alla produzione di beni e servizi. “Oltre a impattare sulle prospettive di crescita, il provvedimento rischia di avere l’effetto di abbattere immediatamente il valore degli immobili esistenti – continua Rovere – fatto di per sé non solo controproducente, ma anche contraddittorio rispetto ai piani del governo di cessione di parti rilevanti del patrimonio pubblico”. Ma la cosa ancora più curiosa è che l’abrogazione non sembrerebbe giustificata da ragioni di gettito. “La relazione tecnica al decreto stima entrate di impatto assai ridotto, nell’ordine di pochi milioni di euro, il che potrebbe far pensare a una clamorosa svista o a un errore di valutazione da parte della commissione che ha proposto l’abrogazione. Dai nostri conti, infatti, il danno per il settore potrebbe essere di svariati miliardi di euro”.

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