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Palloni sgonfi a Milano

Redazione

Che resterà di un breve amore? Grattacapi dei proprietari cinesi di Milan e Inter. Suning rilancia?

Ma come: davvero ci si può invaghire e poi disamorare della Milano calcistica in soli due anni? E’ possibile che due dei club più blasonati e vincenti d’Italia, che hanno, con la Juventus, il maggior numero di tifosi e di appeal su scala internazionale, siano passati in 24 mesi da oggetto del desiderio a campo di martirio, tutto in salsa cinese? Così pare. Anche se, trattandosi di pallone, nulla è definito fino al triplice fischio finale.

 

E così, mentre impazza il toto-nomi sui possibili nuovi compratori del Milan divenuto nell’aprile di un anno fa di proprietà del carneade (il suo patrimonio stimato in 500 milioni nessuno lo ha mai realmente accertato) Yonghohg Li, ecco che a un certo punto è spuntata la novità relativa all’altra metà del capoluogo lombardo: Suning può vendere, a soli due anni dall’acquisto, l’Inter. Sarà vero? O essendo in pieno calciomercato le si possono sparare tutte e persino grosse? Rilanciata da Premium Sport la notizia, finora non si sono trovate conferme in tal senso. L’unica certezza è che l’indonesiano Erick Thohir, quello che aveva tolto il club nerazzurro dalle mani di Massimo Moratti, vuole sbarazzarsi in fretta e furia del suo 30 per cento. Ma chi la compra la quota di minoranza di una società senza poi poter davvero contare nulla, salvo fregiarsi della bandierina di azionista dell’Inter e magari andare a San Siro all’ultimo secondo, avendo la garanzia della poltroncina vip? Nessun imprenditore dotato di buonsenso potrebbe rilevare quella partecipazione, andandosi a porre alla destra di un colosso quale Suning (a livello di conglomerata il fatturato ammonta a 65,7 miliardi di dollari) senza poi poter avere voce in capitolo? La risposta è abbastanza semplice, anzi è banale: zeru soci di minoranza per parafrasare Mourinho, l’allenatore del Triplete. L’unica opzione realmente possibile è che a comprare quel 30% sia la stessa famiglia Zhang per arrivare a controllare tutto il capitale dell’Inter dopo aver messo sul piatto, in 24 mesi esatti, come calcolato dalla Gazzetta dello Sport lo scorso 7 novembre, qualcosa come 496 milioni. Solo al verificarsi di questa opzione, sostengono i banchieri d’affari che da tempo tengono d’occhio il potente industriale cinese, accreditato di un patrimonio di 6,3 miliardi di dollari (è tra i 40 uomini più ricchi del popoloso paese orientale) e legato ai piani alti del Partito, in Cina, potrebbe decidere di farsi da parte. Ma tutt’ora Thohir non ha fatto il prezzo del suo 30% e resiste, sapendo che prima o poi Zhang potrebbe dover bussare alla sua porta. Anche perché trovare un soggetto disposto a valutare il club almeno 7-800 milioni (il cinese vorrebbe molto di più) a fronte dei 318 milioni di ricavi e una perdita di 24,6 milioni dell’ultimo bilancio 2016-2017 (dopo i 200 milioni di rosso degli due esercizi precedenti) non sarà così facile. Non fosse altro perché l’Inter, rafforzata in termini di ricavi dall’importante contributo dello sponsor Suning, ha meno appeal internazionale degli odiati cugini del Milan. Del resto, la squadra che ha avuto per oltre 30 anni quale unico proprietario de facto l’ex premier Silvio Berlusconi (attraverso Fininvest) è pure sempre tra le più titolate al mondo con il Real Madrid. 

 

Ovviamente, però, la situazione in casa rossonera non è la migliore, oggi. Anzi, il profondo rosso continua: -75 milioni dicono i conti al 2017. In più incombe sulla testa di Marco Fassone, Rino Gattuso e soprattutto di Yonghong Li la spada di Damocle dell’Uefa. E’ attesa ad horas, infatti, la sentenza da Nyon. Lo scenario peggiore, l’esclusione dalle competizioni europee, rappresenterebbe un deterrente per il nuovo, possibile compratore del Milan. Anche perché, invece, dal canto suo, l’Inter ha conquistato, a fatica, l’accesso certo e diretto alla assai più ricca Champions League. E allora come farà Li a uscire dal tunnel? Innanzitutto dovrà versare entro il 27-28 giugno l’ennesima tranche di 32 milioni. Finora, nonostante i tanti dubbi del mercato, ha rispettato le scadenze e soprattutto onorato gli impegni previsti dall’accordo di finanziamento (303 milioni) concesso dal fondo Usa Elliott che come un avvoltoio volteggia sulla preda in attesa di affondare gli artigli: avendo in pegno il 100% del Milan e della holding lussemburghese del socio cinese può, in caso di mancato rispetto dei termini prestabili, prendersi subito, e senza colpo ferire, il club rossonero. E poi rivenderlo. Facendo una ricca plusvalenza anche solo ricevendo un assegno da 500 milioni. Ossia, la metà del miliardo che sognava il Cav. prima di dire addio, per volontà della figlia primogenita Marina, al suo Milan. E pure la medesima valutazione che, della società guidata da Fassone, ha fatto Li, senza considerare però che esiste e persiste un fardello di debiti lievitato ormai a 350 milioni. Ma se davvero, in men che non si dica, Suning e Li dovessero vendere a un altro player straniero, magari stavolta americano (loro in fatto di business commerciali sono più ferrati), allora quello stravolgimento del sistema calcistico che si era avuto anni fa, quella rivoluzione “gialla” che avrebbe dovuto spingere il calcio italiano verso nuovi confini di business, tutto questo svanirebbe nel nulla. E i tifosi si risveglieranno come se avessero vissuto un sogno lungo due anni. Sarebbe un brusco risveglio. Verrebbe, infine, smentito il tanto sbandierato slogan: La Cina è vicina. Per ora chi ci perde sono i tifosi che non sanno più a quale santo rivolgersi.

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