Cambi di Panorama

Il destino non semplice del settimanale di Segrate tra costi, tagli e compratori (Angelucci?)

Da 51 anni, ossia da quando Panorama, nato mensile (ottobre 1962), venne trasformato in settimanale (maggio 1967) da Lamberto Sechi, nel mondo dell’informazione periodica la sfida per antonomasia è sempre stata col rivale L’Espresso (in edicola dal 1955). I due newsmagazine per antonomasia. Solo che la testata fondata da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari, dall'agosto di due anni fa ha modificato la sua “natura”: esce la domenica, come allegato di Repubblica e non più come giornale autonomo del venerdì. E così anche la rivale di Segrate si è adeguata, anticipando l’uscita al giovedì. Ma complice la crisi del settore (sia in termini di vendita sia in termini di raccolta pubblicitario), il destino di Panorama non è più così certo. Perché se il settimanale del gruppo Gedi ha trovato il modo di sopravvivere, quello della Mondadori da anni si sta interrogando sul suo (reale) futuro. Non per nulla sono finiti i tempi d’oro (dell’era moderna) nei quali sotto la direzione di Carlo Rossella il settimanale raggiungeva (gennaio 2001) la soglia delle 799.289 copie diffuse contro le 565.532 dell’Espresso. Oggi, il periodico simbolo del gruppo della famiglia Berlusconi viaggia a 175.961 copie, delle quali solo 43.083 vendute in edicola. E soprattutto a sentire i ben informati perde e pure parecchio. Anzi, sarebbe il prodotto editoriale col maggior saldo negativo di tutto il portafoglio di Segrate, con un rosso che – ma qua non ci sono conferme, e anzi è difficile avere dati ufficiali – che sfiorerebbe i 5 milioni annui. Cifra oggi più contenuta, si mormora nei corridoi di Segrate, anche per il ricambio alla direzione: uscito lo scorso gennaio Giorgio Mulé, oggi deputato di Forza Italia nonché portavoce unico dei gruppi di Camera e Senato per Forza Italia, sulla tolda di comando è salito Raffaele Leone. Direttore al quale spetta un triplice e arduo compito: rivedere la formula editoriale, rilanciare le vendite e fare economie di scala e sinergie redazionali. Perché ai manager della società, in particolare all’ad Ernesto Mauri (ma forse l’input arriva direttamente del presidente, Marina Berlusconi), i quasi 40 giornalisti che ancora lavorano nella redazione, un tempo decisamente più corposa, della prestigiosa testata appaiono ancora troppi: in edicola ci si può arrivare anche con la metà della forza giornalistica. Anche perché, è la tesi aziendale – non condivisa, ovviamente, dai sindacati e dai dipendenti che già devono affrontare il duro e rischioso processo di vendita delle riviste TuStyle e Confidenze alla minuscola European Network di Andelko Aleksic, 4,7 milioni di ricavi e 7 mila euro di utile con 3,14 milioni di debiti – per potere consentire l’uscita dello storico settimanale da sempre nel cuore di Silvio Berlusconi occorre rivedere la base dei costi operativi. E tra questa, una delle voci che viene attenzionata è quella relativa alla retribuzione media per ogni singolo membro della redazione che, sempre da calcoli aziendali ai quali si può o non può credere, è del 30 per cento più alta di quella del principale competitor di mercato, in termini di vendite e diffusioni, ovvero la Cairo Communication di Urbano Cairo, nato segretario del Cavaliere. E se la minaccia neppure tanto velata della casa editrice è quella di tagliare drasticamente l’organico o di abbassare sensibilmente il costo giornalistico, da settimane circola una soluzione alternativa.

 

Il piano B di Segrate sarebbe quello di trovare un compratore anche per il vessillo Panorama. Certo ci sono condizioni che non sono di mercato da valutare: la testata fa informazione politica d’attualità e con la campagna elettorale perenne non sarebbe una mossa logica cedere il settimanale. A meno che non finisca in mani “amiche”. Scartata, nonostante le avance già negli anni scorsi, l’opzione Visibilia, la società di Daniela Santanché, una delle carte da giocare è la trattativa, al momento ancora formalmente smentita, con la famiglia Angelucci, proprietaria dei quotidiani Libero (27 mila copie diffuse), Il Tempo (16.897 copie giornaliere) e Corriere dell’Umbria (che ha edizioni anche ad Arezzo, Siena, Rieti e Viterbo). Ovviamente, anche in questo caso si tratta di imprenditori politicamente etichettati, sempre in ambito Forza Italia, a partire dal patron Antonio Angelucci, alla sua terza legislatura alla Camera tra le fila del centrodestra. Imprenditori del mondo della sanità che vorrebbero da tempo mettere le mani anche sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Insomma, industriali con un occhio di riguardo per l’editoria tradizionale. Se mai gli Angelucci si facessero avanti per Panorama – incontri ci sarebbero stati, ma ancora niente di concreto – si potrebbe anche trovare un accordo che possa rilanciare la testata sulla falsariga di quello che ha fatto il gruppo Gedi e che la Mondadori, azionista di peso del Giornale di Paolo Berlusconi, per vincoli di mercato non può fare: allegare il settimanale ai quotidiani della scuderia Angelucci, ampliando così il potenziale bacino d’utenza. Un progetto che avrebbe il suo senso industriale ma che resta a rischia rinvio o ripensamento per le turbolente vicende romane. E siccome, nei corridoi del Transatlantico c’è già chi parla di nuove elezioni a settembre-ottobre, ecco che il Cavaliere potrebbe congelare tutto, per interessi superiori, avendo bisogno della sua testata-ammiraglia.

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