Giovanni Tamburi

Tamburi Sonanti

Redazione

Chi è e come lavora Gianni Tamburi, il banchiere d’affari partito da Roma e che oggi fa sistema con le aziende che valgono

Come partire da Roma e, nell’arco di trent’anni, conquistare Milano. Almeno dal punto di vista finanziario. Facendo il giro del Centro-nord Italia per fare breccia nel cuore di quei clienti che poi sono diventati pure azionisti e sostenitori. E’ la parabola di Gianni Tamburi, banchiere d’affari e, oggi, soprattutto investitore, nato nella Capitale nel 1954, laureato alla Sapienza (Economia e Commercio) e cresciuto professionalmente all’ombra della Madonnina. Facendosi le ossa alla scuola di Carlo De Benedetti e Guido Roberto Vitale, a partire dall’inizio degli anni Ottanta, in quella che all’epoca era la merchant bank privata della finanza meneghina, ovvero Euromobiliare che annoverava tra i soci anche gli Agnelli e i Pirelli. Adesso Tamburi, che si è messo in proprio nel 1991, anno nel quale venne chiamato dall’allora premier Giuliano Amato a far parte della Commissione per le privatizzazioni (quella delle legge 35 che trasformò Eni ed Enel in spa) e che nel 1999 era nel team di consulenti che ideò e lanciò la cosiddetta Opa del Secolo, ovvero la scalata di Colaninno & Co. a Telecom, con la sua Tip è il secondo investitore privato del mercato italiano alle spalle della Cassa depositi e prestiti. Ma a differenza del braccio armato del governo, la boutique d’affari milanese che ha investito complessivamente oggi 2 miliardi di euro, ha alle sue spalle 130 famiglie: dai Lavazza (caffé) agli Angelini (farmaceutica), dai Ferrero (siderurgia) ai D’Amico (Shipping), dai Marzotto ai Lunelli (spumante Ferrari) a Isabella Seragnoli, ossia la donna più ricca di Bologna. Come sia stato possibile tutto ciò in molti se lo chiedono. Anche perché per anni, se non per decenni, Tamburi ha lavorato sottotraccia, soprattutto con le pmi del centro Italia. Non ha mai cercato i riflettori, la grande ribalta. Non ha fatto la guerra alle varie Mediobanca, Banca Imi o Unicredit. Ha cercato altri palcoscenici. Ha cercato le aziende dell’Italia che lavora in silenzio. E che fa profitti.

 

Ma ora con i grandi fondi di private equity italiani in declino, il banker romano si è preso la scena, non per nulla ha chiuso il 2016 con un utile record di 85,6 milioni, un record per la sua creatura. E ha garantito un total return (performance del titolo in Borsa sommato con i dividendi distribuiti) del 222,7% su base quinquennale.

 

Affiancato, sin dall’inizio dell’avventura dalla partner, anche nella vita privata, Alessandra Gritti e dal fidato direttore generale Claudio Berretti, Tamburi ha un giardinetto di partecipazioni da far invidia: le frecce nella faretra si chiamano Fca, Ferrari, Amplifon, Moncler, Prysmian, Azimut Benetti, Eataly, Furla, Roche Bobois, iGuzzini e, buon ultima, Alpitour. Di fatto 20 società leader su scala internazionale nei loro segmenti industriali: dalla moda agli yacht, dall’arredamento al turismo. Una escalation destinata a non fermarsi, perché in cassa tra tutti i veicoli d’investimento della galassia Tip ci sono altre centinaia di milioni da investire. In attesa di quotare la gran parte delle società in portafoglio. Un reticolo di amici, soci, alleati, partner e quant’altro che non si ferma mai. E che non trascura neppure il 2.0 o 4.0. Perché la merchant bank è il primo azionista di Digital Magics, il più importante venture capital nazionale, ed è nel capitale di Talent Garden, il principale progetto di co-working su scala europea. Un variegato universale che somma qualcosa come 17 miliardi di fatturato su base annua. Ma è anche un reticolo di relazioni personali e societarie che strizza in qualche modo l’occhio alla politica, visto che se Eataly, la creatura di Oscar Farinetti, da sempre nelle grazie dell’ex premier Matteo Renzi – del resto il presidente esecutivo della catena di supermarket di lusso è Andrea Guerra, manager chiamato a Roma dallo stesso politico fiorentino –, i mitologici piumini Moncler erano stati citati dal segretario nazionale del Pd quale esempio da seguire per il rilancio del made in Italy.

 

Un nome, quello di Tamburi, che sempre più viene accostato alle grandi operazioni di sistema: perché se il suo nome è circolato per l’ingresso nel capitale di Esselunga (vale 6-7 miliardi), un deal che però pare eccessivamente grande anche per le capacità di questo affermato banchiere, c’è chi lo ha pure accostato per il rilancio del Sole 24 Ore. Due operazioni che, difficilmente, lo vedranno ai nastri di partenza. Anche se il banchiere romano un certo senso per l’editoria ce l’ha: da anni è il secondo socio della Monrif della famiglia Monti Riffeser, che significa Poligrafici Editoriale, ovvero Il Resto del Carlino, La Nazione e Il Giorno.

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