Beppe Sala (foto LaPresse)

In che senso il “modello Milano” può aiutare il Pd

Redazione

Una sinistra più pragmatica c’era già con Pisapia. Qualche ipotesi sulla convivenza

Bisogna ragionare un attimo con calma, in mezzo alle convulsioni pazzotiche della politica nazionale e del Pd nazionale, per capire cosa intenda dire Matteo Renzi, che ci aveva scommesso non da ieri, quando addita il “modello Milano” come presente e futuro della sinistra, o almeno del Partito democratico come lo vorrebbe lui. Intanto una previsione, ma rubricabile come una notizia non fake: la giunta di Beppe Sala continuerà a lavorare, nessuno se ne va, l’autonomia del riformismo ambrosiano è un bene comune e resta lontana delle scosse nazionali. Poi però bisogna intendersi, per non generare false mitologie, su che cosa sia, per il Pd e la sinistra, il “modello Milano”. E bisogna partire dal fatto che Milano è sì un punto di riferimento nazionale, che bisognerebbe – in gran parte – imitare. Ma è anche e rimane un’anomalia. E’ la città che ha subito meno la crisi economica e la recessione, e ne è uscita meglio. Con l’amministrazione Pisapia (ma anche con le esperienze precedenti di centrodestra), con l’Expo e altro ancora, Milano ha beneficiato e saputo sfruttare massicci investimenti pubblici e privati, e l’attrattività del big business. Come osserva giustamente più di un esperto del mondo economico meneghino, Milano non è esattamente Londra, non è la deregulation (siamo ancora lontani in fatto di privatizzazioni), è piuttosto l’esempio riuscito di un keynesismo aggiornato. In questo senso, è un modello possibile per un’Italia che il salto nelle liberlizzazioni e nel mercato globale proprio non è in grado di farlo. Vero Salvini? vero Beppe Grillo? Poi c’è il modello politico, per una sinistra che è al governo a Roma, e nella metropoli lombarda è al secondo mandato. Quel modello “keynesiano” temperato era già iniziato con l’esperienza di Pissapia, sindaco arancione anomalo (alla fine, era più criticato a sinistra che dall’ala più riformista del Pd).

  

La scommessa di Sala è stata quella di allungare il passo in una visione busines , senza perdere per strada pezzi di sinistra. La seconda notazione, è che la sinistra milanese, compreso il Pd (e quel ch c’era prima) ha una tradizione più pragmatica, anche nelle zone meno riformiste, che nel resto del paese. Paradossalmente, il “cambiamento” imposto con accelerazione e anche qualche forzatura da Renzi era già iniziato con Pisapia, con uan sinistra che aveva saputo vincere e imporsi dopo lungo tempo nella terra del berlusconismo e della Lega.

 

Così è accaduto che l’arrivo di Matteo Renzi alla guida del Pd e del paese non ha provocato, a Milano, l’effetto di frattura e di rigetto (anche personalistico: pure Pisapia era un decisionista) che ha provocato in altre realtà del paese e della sinistra. Ma nel frattempo, il Pd in città e in reione è riuscito – non a trasformarsi in macchina da guerra renziana, questa è mitologia – ma in qualcosa di più dinamico, con ricambio generazionale, con attenzioni tematiche ai temi economici e sociali di impronta riformista. Oggi, il pd a Milano è renziano ma soprattutto riformista, figlio di varie anime. E’ capace di dialogare con l’area di Pisapia così come Pisapia è stato capace di dialogare con l’onda nuova renziana senza farsene inghiottire. Lo scontro tra renzi e la “ditta”, a Milano, non c’è stato, o è stato meglio gestito. Così, paradossalmente, quando oggi Renzi addita il “modello Milano”, magari contrapposto a un “modello fiorentino” che ha mostrato i suoi limiti, non parla (o meglio: se ha capito bene non lo pensa) di un modello facilmente esportabile. Parla invece di un modello politico, e non solo amministrtivo, che può essere l’ancoraggio bilanciato del riformismo. In cui la visione sua e dei suoi “giovani” milanesi può ritrovare l’amalgama con una sinistra d’altro tipo, ma pragmatica, non ideologica e non passatista. L’arrivo di Renzi non aveva travolto Pisapia. Oggi l’eclissi (momentanea o meno si vedrà) di Renzi può trovare uno sbocco proprio nel rapporto della sinistra “stile Pisapia”. Che non è D’Alema, questo sia chiaro.