Expo 2015, l'avanzamento dei lavori per lo smantellamento dei padiglioni (foto LaPresse)

Arexpo, Sala, nomine. Tre partite calde a Milano (in attesa del derby)

Redazione

Chi saranno i candidati al masterplan di primavera per l'ex area dell'Esposizione universale, il perché del grande freddo tra il sindaco di Milano e Renzi e chi dominerà la stagione delle nomine. Tre questioni aperte

Chi vincerà il masterplan di primavera di Arexpo? I candidati sono questi

 

È sicuramente una grande manovra. Più di un milione di metri quadri, di cui 450 mila a destinazione libera. È sicuramente una grande manovra perché Renzi prima e Gentiloni poi hanno garantito la nascita di Human Tecnhopole, il rettore della Statale quella del campus universitario per le facoltà scientifiche, il Galeazzi la costruzione di un nuovo ospedale. I tempi di oggi sono questi: entro marzo il Comitato tecnico di Arexpo, la società che gestisce l’ex area dell'Esposizione universale – costituita nel 2011 e partecipata dal ministero dell’Economia (39 per cento), Regione Lombardia e Comune di Milano (entrambe al 21 per cento), Fondazione Fiera Milano (16 per cento), Città metropolitana di Milano (2 per cento) e Comune di Rho (1 per cento) – dovrà decidere a chi affidare il masterplan per la trasformazione dell’intera area, nonché – si legge in un comunicato – l’ideazione e l’elaborazione del business plan dello sviluppo complessivo. Fatti salvi lo HT e il campus universitario, finanziamenti e regia pubblica, e la grande area vincolata a verde pubblico, è il resto del mastreplan a rappresentare la scommessa per Arexpo e per i possibili sviluppatori e investitori privati.

Tempi stretti, sentieri stretti. A settembre infatti verrà assegnata la concessione dell’area su cui realizzare il progetto che verrà prescelto, una concessione fino a 99 anni. Le risposte al bando però non sono state moltissime. In gara ci sono quattro operatori. Tra i nomi che circolano come potenziali investitori ci sono gli australiani di Lend Lease (impegnati nella valutazione del progetto Santa Giulia), Coima di Manfredi Catella, gli olandesi di Stam Europe supportato da Condotte e una quarta società che secondo i ben informati non avrebbe i requisiti necessari a concorrere al bando. Il presidente di Arexpo, Giovanni Azzone, ha sempre sottolineato la qualità della gara: “Il nostro è un bando innovativo per l’Italia che punta a mantenere una regia strategica. Il progetto sarà sviluppato da Arexpo in partnership con un operatore economico, attraverso un contratto misto di appalto e concessione. I capitali necessari per lo sviluppo sono stati quantificati in 1,5-2 miliardi di euro”. Gli australiani di Lend Lease sembrano i favoriti. I giochi sono avviati, non ancora fatti.


 

Da dove nasce il grande freddo tra Beppe Sala e Matteo Renzi? Ipotesi

 

Sulla linea Milano-Torino, lo scorso weekend, viaggiavano più scosse elettriche che Frecciarossa. Il Grande Assente del Lingotto, altro che gli scissionisti, era Beppe Sala, volato a Chicago. Matteo Renzi non ci ha messo molto a chiedere la standing ovation per Maurizio Martina, incoronato (ex post) artefice dell’Expo. Al posto del contumace Mr. Expo. Da Sala, nei giorni precedenti, erano arrivate stilettate all’ex premier. E dal mondo pd di Milano, mugugni non silenziati contro la gestione del Fiorentino. Di converso, i renziani doc ambrosiani, che però non sono maggioranza, non hanno apprezzato proprio tutto, a Torino, della new wave inclusivista del ri-candidato segretario.

Grande freddo, elettricità alta. Questi sono i fatti. Ma da dove e quando nasce il grande freddo tra Sala e l’ex premier, ed ex mentore del “modello Milano”? Perché Sala occhieggia ad Andrea Orlando, come tutto il vecchio gruppo dirigente del Pci, da Napolitano in giù, o Enrico Letta e alcuni poteri milanesi? (Nota a margine: non ce n’erano tanti, di poteri economici-sistemici milanesi, al Lingotto). E ancora: che nesso c’è tra Sala e il “campo” Pisapia? Sala il pragmatico sa un paio di cose: che la sua maggioranza (fedele), in cui pesa molto Pierfrancesco Majorino, sarà chiunque vinca il congresso il baricentro “a sinistra” del Pd e di ogni coalizione. Forse pensa davvero che l’asse “di sinistra” che sostiene la sua giunta sia il futuro modello nazionale. Perché scostarsene? “Ricostituzionalizzato” Renzi, Sala, che pure pensa a governar Milano, sa che la leadership del centrosinistra, in qualche modo, da Milano verrà. O da qui dovrà per forza passare. Tutto il resto è Pd.


  

La stagione delle grandi nomine è orfana (ancora) del vero kingmaker

 

Atm, A2A, Difensore regionale, Finlombarda, Fiera Milano. La parita delle nomine che pesano tra Milano e Lombardia entra nella fase calda. Ma il punto decisivo, oggi come oggi, più dei nomi, è l’esistenza o meno di kingmaker sotto la Madonnina, e c’è più di un aspirante. Il Comune ha una partita complicata in Atm: si pensava a una transizione soft, nella quale a Bruno Rota, presidente uscente, sarebbe succeduto uno come Luca Bianchi, praticamente introvabile sul web (il che è un bene), ma dal curriculum importante: Columbia University, a capo di Keyron Advisory, docente al master in International Business della Cattolica, stimatissimo da Beppe Sala e dall’assessore al Bilancio Roberto Tasca. Invece, la scelta di Bianchi da transizione soft potrebbe essere la prima mattonella di una rivoluzione. Prima di tutto si chiude l’epopea dell’uomo solo al comando. In secondo luogo si punterà su un direttore generale forte e a un presidente da raccordo con l’azionista. Perché il punto è quello: chi riferisce a chi? L’autonomia di Atm, massima nelle idee di Rota, tornerà nella disponibilità dell’Amministrazione comunale, unico azionista. Si rafforza la posizione di Roberto Tasca, ovviamente, anche se la delega alle partecipate è del sindaco. L’uomo dei conti, l’assessore Tasca, sarà centrale anche nella gestione del rinnovo di A2A, e sarà osservato speciale anche dai banchi della maggioranza, dove in tempi di ridefinizione della sinistra i nuovi pesi specifici sono tutti da verificare. In A2A, però, dovrebbe filare via liscio, salvo promozioni improvvise di management al vertice di Terna. Giochi troppo alti, per i quali l’unica strategia è l’attesa.

Sul fronte regionale, intanto, la maggioranza di Maroni, giacché la nomina è del Consiglio e non della giunta, è alle prese con la questione del Difensore regionale. Un incarico pluriennale (sette anni), carica non strategica, ma simbolica e remunerata. In pole position pare ci sia Carlo Lio, già uomo forte ai tempi di Formigoni. Ben più strategica è Finlombarda, la finanziaria della Regione, dove la Lega vuole riconfermare l’uscente Ignazio Parrinello, manager varesino che però è sotto il fuoco del Movimento 5 stelle che gli vorrebbe levare lo stipendio (la solita norma dei pensionati). Infine c’è Fiera Milano. A breve si dovrà arrivare a una definizione della questione, dopo le annunciate dimissioni dei vertici, pilotate dalla procura. E qui la questione del kingmaker si pone in tutta evidenza: chi nomina chi? E’ Fondazione Fiera che deve nominare, dice Roberto Maroni, lavandosene le mani. Ma sarà vero? E in Fondazione Fiera Giovanni Gorno Tempini chi chiamerà prima di nominare qualcuno? Maroni? Il suo amico Beppe Sala? Entrambi? Nessuno dei due? Si sa che Maroni e Sala si parlano molto, settimana scorsa in una saletta riservata di MADE Expo, la fiera dell’architettura, e ieri a parlare di Olimpiadi. Ma tra un grande evento e l’altro, chi sarà il vero kingmaker?