Videoclip Sacky - Kayros (screenshot via Youtube)

GranMilano

Non esistono ragazzi che non sanno rappare. La musica della comunità Kayros 

Cristina Giudici

Tanti arrivano dalla strada, dalla comunità, dalle carceri minorili. Rappano per tirare fuori con la musica la rabbia o il dolore che hanno dentro

Forse d’ora in avanti il motto della comunità Kayros non dovrebbe essere più solo “Non esistono ragazzi cattivi”; dovrebbe evolvere in un più completo:  “Non esistono ragazzi cattivi che non sappiano rappare”. E non solo perché tanti dei ragazzi che arrivano dalla strada, dalla comunità, dalle carceri minorili, rappano per tirare fuori con la musica la rabbia o il dolore che hanno dentro, e sognano di diventare come il rapper Sacky –  che qui è cresciuto e un mese fa ha dedicato un videoclip a Kayros.

 

Ma anche perché rispetto al panorama desolante delle comunità per minori, sempre meno attrezzate per dare una risposta educativa ai minorenni, nella comunità Kayros guidata con mano saggia e mente duttile da don Claudio Burgio, cappellano del Beccaria ed ex direttore della Cappella musicale del Duomo, è arrivata la donazione da una nota casa di produzione discografica: un vero studio di registrazione per chi rappa. Un regalo, e un grande atto di fiducia da parte di un’etichetta che ha fatto la storia della musica, nella Milano capitale della musica. Un laboratorio educativo dove, con l’aiuto di educatori che conoscono bene la devianza perché l’hanno vissuta sulla propria pelle, i bro(ther) imparano a scrivere, a comporre, rappare. Max per esempio sta provando un remix “un po’ bang”, osserva l’educatore Matteo Gorelli che aiuta Max aka Okeychico a montare la sua traccia e il videoclip. “Nel video ci sono io che entro in un film violento ma non è quello il film che voglio vivere, solo quello che avrei potuto vivere se non fossi venuto qua”, dice. Nello studio c’è un altro aspirante rapper che sta “reccando” cioè registrando. “Sono arrivato al punto dove la speranza è la prima a morire”, canta (vietato spoilerare tutto il brano). “Deve essere più confusionaria, si deve capire che nella testa ho disordine. Così spacca”, spiega entusiasta all’educatore. 


E poi c’è il laboratorio dei ragazzi più piccoli che stanno imparando a comporre. “Lo scopo del progetto è socio-educativo” spiega il don, come chiamano tutti Burgio, “li aiutiamo a scrivere, a comporre, a far uscire la loro rabbia. Ci serve anche a percepire cosa stanno vivendo, cosa hanno dentro, e per gli stranieri è utile a imparare a modo loro l’italiano. Si tratta di un progetto che ha tante valenze. E poi con alcuni, artisticamente più maturi, possiamo registrare le tracce e immaginare in futuro di pubblicare qualche canzone. Perché chi fa rap pensa a spaccare, a superare il proprio disagio raccontandolo, e magari a farsi notare dalle etichette discografiche. Nella speranza che prima o poi si crei uno spazio nel mercato che è sempre in cerca di nuovi talenti e nuove voci della periferia di questi ragazzi che spesso hanno un background migratorio, vengono dalle periferie, hanno fatto “cose brutte”, come dicono loro stessi, ma ora stanno cercando di cambiare vita. “Per adesso quello che abbiamo fatto vedere sui social funziona, poi vediamo se dura, quanto dura e quanto li può aiutare”, osserva Matteo Gorelli.

 

“La prima traccia l’ho fatta a 15 anni”, dice Max .“Sono stato arrestato e portato a Roma, ho fatto cose brutte tipo rapine ai turisti ma erano cose sbagliate, fatte per sfogo, per fortuna ero minorenne e poi ho switchato”. Come tanti altri minorenni è arrivato qui da una comunità protetta di prima accoglienza “che era uno schifo”. E quando lo hanno portato a Kayros e ha visto che sul muro c’era scritto “non esistono ragazzi cattivi” ha pensato “di essere arrivato nel posto giusto che forse poteva chiamare casa”. Max dice di aver fatto canzoni più tristi. “Una si chiama ‘Ombra’ perché parla delle mie ombre, all’inizio parto duro, incazzato, e poi vado verso la tristezza, raccontando di me stesso, di cosa ho dentro”. E fra voci e suoni che si accavallano intorno al laboratorio, in tanti sperano di poter emulare il rapper Sacky che è emerso con il collettivo di San Siro SEVEN 7oo e in un recente videoclip girato nei cortili dell’associalzione Kayros, a Vimodrone, ha cantato quello che sognano tutti i ragazzi che qui scrivono canzoni. Con un auspicio molto condiviso da tutti gli aspiranti rapper: “Coltiva il tuo talento (fermi mentre guardiamo). Concimalo con il sangue (i sogni volare nel vento). Innaffialo con le lacrime e il sudore (e perdersi in un uragano). E dai tempo al tempo. Io non predico, predìco. Marracash, Big Sacky. Kayros music”. 


E nel viavai dei ragazzi che incalzano il don, lo abbracciano per dirgli di nuovo grazie mentre lui sorride ma solo un po’ perché sa che li deve tenere d’occhio, a Kayros è stato fatto un altro passo avanti per dare nuove opportunità e continuare a credere che “Non esistono ragazzi cattivi” (il libro di don Claudio Burgio da cui è stata tratta una riduzione teatrale, oltre che il motto della sua fede educativa). E per continuare ad alternare storie di cadute a quelle di resurrezione, lo si fa anche con la musica. Come canta Sacky in “Kayros”, “la mia missione è vincere, sono stanco di perdere (stanco di perdere, stanco di perdere). Morale: se non si sa se sia del tutto vero che non esistono ragazzi cattivi, si sa però che tutti vorrebbero in qualche modo tirare fuori la musica e il dolore che hanno dentro. Crediamoci.  
 

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