Silvia Roggiani ( ansa)

GranMilano

Il trend “Lombardia larga” tenta il Pd ma ha più nì che sì

Fabio Massa

Il campo largo sardo e quello abruzzese sono un modello replicabile a Milano? I dem ci credono, grillini e centristi un po' meno 

Una volta li chiamavano, elegantemente, segnali deboli. Erano quegli indizi che qualcosa stava per cambiare, piccoli refoli di vento che indicavano l’arrivo di una perturbazione nello status quo. Difficile, nella politica di oggi, capire se i segnali deboli siano indicatori di qualcosa oppure accidenti del destino politico che vengono usati per confermare una tesi preconfezionata. Traduzione: la Sardegna e il campo larghissimo che si porta dietro, l’Abruzzo e il campo larghissimo (vedremo se vincente) sono un modello oppure un incidente? E se fossero un modello, sarebbe replicabile per Milano, la Lombardia e le europee, a queste latitudini e con le loro peculiarità? In fondo, la prossima tornata elettorale lombarda vedrà urne aperte per quasi mille comuni (su 1.500), tre capoluoghi, oltre che per il Parlamento europeo in quella che è la più grande regione italiana, sia da un punto di vista economico che numerico, con i suoi oltre dieci milioni di abitanti. E dunque, campo larghissimo, dai centristi di Italia viva al Movimento 5 stelle? Umori e malumori.


La segretaria regionale del Pd, Silvia Roggiani, ci crede: “In Lombardia da sempre noi partiamo dai programmi e dalle idee – dice al Foglio – Di volta in volta questo ha portato a esiti diversi: a Milano abbiamo raddoppiato liste ma non c’è stato il coinvolgimento del M5s. In Regione Lombardia avremmo voluto fare un campo larghissimo, dopo un lavoro comune di cinque anni, e invece c’è stata una scelta da parte di Iv e Azione per un’altra candidatura (Letizia Moratti, ndr). Ora per i 960 comuni in cui si vota abbiamo provato a mettere insieme il campo più largo possibile. Per esempio a Pavia, dove stiamo insieme tutti quanti. In altri posti non è stato possibile perché non è stata trovata la convergenza”. Lo sguardo di Roggiani va verso il 2028, le prossime regionali: “Dobbiamo allargare il campo il più possibile per battere la destra che qui governa da 30 anni” (sarebbe più corretto dire che la sinistra non ha mai visto). Auspici che però poi bisogna declinare in un tempo di grandi divisioni, tra cui palestinesi vs israeliani: “Dopo il 7 ottobre e i vili attentati di Hamas, e quanto sta tragicamente succedendo a Gaza, il Pd ha fatto grandi passi avanti. Ma sono temi internazionali: da segretaria del Pd Lombardia io mi devo occupare dei temi locali e dunque pormi in ottica di dialogo con chi fa l’opposizione alla destra”. Sulla stessa linea il “capo” dei bonacciniani lombardi, Alessandro Alfieri, che per il 10 marzo organizza all’Auditorium Testori una iniziativa con Beppe Sala, Paolo Gentiloni e Stefano Bonaccini. Dice al Foglio: “Di fatto nella stragrande maggioranza dei comuni facciamo coalizioni larghe coinvolgendo soprattutto liste civiche con un centrosinistra inclusivo. Non bisogna abbandonarsi però ai facili entusiasmi per la Sardegna così come non dobbiamo abbandonarci allo scoramento quando si perde. Serve equilibrio. Il campo largo è già praticato da tempo. La politica estera è qualcosa di estraneo rispetto alle amministrative. A livello locale le varie anime del Pd sono unite: abbiamo costruito un congresso unitario intorno all’elezione di Silvia Roggiani per far prevalere la capacità di lavorare insieme”. 


Tutto bene, dunque? Campo largo in Lombardia? Non troppo, almeno a sentire Dario Violi, coordinatore lombardo del M5s. “Premettiamo che a livello locale già se bisogna fare le alleanze si fanno. Ma non sono un tifoso dei mischioni a caso. Dove ha senso il campo largo si fa: per esempio a Pavia. A Cremona ad esempio no, e non andiamo neanche col Pd. E anche a Bergamo andremo probabilmente da soli. Del resto c’è una logica in queste scelte: sono due anni che facciamo opposizione all’amministrazione del Pd e oggi sarebbe stupido dire che ci va bene. Mica possiamo dire "stavamo scherzando”. A Pavia facevamo opposizione insieme e quindi abbiamo fatto questa scelta molto più naturale”. E Iv e Azione? “Io non vedo grossi problemi, a livello locale contano le persone, si trovano intese in modo tranquillo. Dove non si va d’accordo a livello territoriale ci si attacca a cose nazionali, ma sono pretesti per non trovare un accordo”. Anche Sergio Scalpelli, segretario di Italia viva a Milano, è scettico: “Io penso che il campo largo non esista in politica se la politica ha ancora un senso e contano i contenuti, e non soltanto le necessità derivate da un sistema bipolare ma anche quattro o cinque temi cruciali sui quali si costruisce una identità. Nel caso specifico del campo largo la politica internazionale, nel quale il Pd e il M5s sono sostanzialmente su posizioni irriducibili uno all’altro, farebbero pensare che il campo largo non può esistere. Discorso diverso sono i territori. Il caso dell’Abruzzo è  particolare perché il candidato è serio. Ed è il candidato che si porta dietro le alleanze. Ci sta che in elezioni comunali e regionali si verifichi una convergenza. Considererei però la logica del campo largo una eccezione che conferma la regola, che rimane la stessa: non si può ipotizzare una alleanza organica tra Pd e M5s e sicuramente dal M5s ai centristi”.

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