Gran Milano

Qualche dubbio sulla proposta di legge della sinistra per la sanità in Lombardia

Fabio Massa

Il Pd ha presentato un provvedimento che per quattro quinti è inutile (poiché prevede ciò che è già previsto) e che per l’ultimo 20 per cento risponde tout-court a un riflesso condizionato: tentare l’abolizione della sanità privata

Si può chiamare riflesso condizionato, a voler scomodare Pavlov. Appena chiedi alla sinistra lombarda che cosa pensa della sanità, esce immediatamente l’aggettivo “pubblica”. Il condizionamento è talmente profondo e radicato nel ventennio di lotta matta disperata e soprattutto perduta contro il sistema misto (sussidiarietà) vincente di Roberto Formigoni che, malgrado siano passati altri quindici anni, l’aggettivo rimane, e la sconfitta pure, elezione dopo elezione, candidato dopo candidato. L’ipotesi, anche solo remota, che forse la sanità pubblica come la intende il Pd al popolo non interessi, non rimuove il riflesso. Così, una due giorni anche interessante e importante, perché finalmente c’è un centrosinistra che sceglie di occuparsi della sanità (argomento tabù per anni e anni, rimosso scientemente al grido di “sono tutti malfattori”), alla fine ha partorito un esito che avrebbe potuto essere più coraggioso e sicuramente meno condizionato. È la legge di iniziativa popolare di riforma del sistema sanitario lombardo. La quale – buttiamo subito il pietrone nello stagno – per quattro quinti è inutile poiché già prevista da tutte le leggi vigenti e le carte oggi in vigore, e per l’ultimo 20 per cento risponde tout-court al riflesso condizionato di cui sopra: tentare l’abolizione della sanità privata.

Partiamo dall’articolo 1 di questa legge. Niente paura: considerato che in tutto sono quattro i concetti proposti non c’è da perder troppo tempo. Il primo verte sull’universalità del servizio, che è presente ovunque, a partire dalla Costituzione. Il secondo sulla centralità della prevenzione (e chi potrebbe mai affermare il contrario?), il terzo sui servizi territoriali e le case di comunità (l’ultima riforma è già tutta su quello). Il quarto – oggettivamente – ha dentro un po’ di contenuto. Per la precisione, una decina di parole: “L’adesione al Centro unico di prenotazione regionale costituisce criterio obbligatorio per l’accreditamento”. Tradotto: o i privati mettono in comune le agende, oppure la Regione può levare loro la parificazione con il pubblico. E dunque, non potranno più svolgere la loro funzione in regime di SSN. Principio sacrosanto, che la Regione dovrebbe introdurre e di corsa. Il problema è per l’ultimo pezzettino. Che è una abolizione. L’abolizione della equivalenza tra il privato e il pubblico. Ecco Pavlov, che salta fuori mentre porta i suoi cani a passeggio. Il Pd scrive nero su bianco che il punto fondamentale è smantellare il sistema per cui un cittadino può scegliere indifferentemente, perché identico ed equivalente, un servizio di un ospedale pubblico e di un privato convenzionato. Non c’è più equivalenza, dunque eguaglianza né libertà di scelta. Tuttavia, come un mantra, viene citato il concetto di “sussidiarietà”, che oggi è sulla bocca di tutti ma una ventina d’anni fa faceva rizzare i capelli in testa alla sinistra milanese. Pierfrancesco Majorino “rispondendo“ a Gian Felice Rocca nel giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Humanitas University ha detto: “Non si può in alcun modo pensare in Lombardia a una sanità esclusivamente pubblica, e questo è perfino ovvio, ma bisogna cambiare le regole per evitare che a condizionare le scelte sia l’interesse privato e non quello dei cittadini”. Ovvio, però poi si propone di eliminare l’equivalenza dei servizi pubblici e privati convenzionati, di fatto l’architrave dell’intero sistema lombardo Dimenticando anche che se, da domani, gli ospedali privati in convenzione dismettessero i loro servizi, sai le liste d’attesa in quelli pubblici.

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