Piazza Degli Affari, sede della Borsa Italiana, foto Ansa 

GranMilano

La Borsa ha un problema serio. C'è  allarme tra gli intermediari

Mariarosaria Marchesano

Il timore per la decadenza della Borsa e del ruolo di Milano capitale della finanza, si sta facendo sentire. "Siamo di fronte a un fenomenoche sta colpendo i mercati azionari di tutto il mondo, ma che in Italia rischia di fare danni maggiori", dice il presidente di Amf Italia Marco Venturozzo

La teoria secondo cui se Piazza Affari perde pezzi (le ultime due società a lasciare sono Tod’s e Saras) non è colpa di nessuno perché succede anche in altri paesi, convince poco il mondo degli intermediari finanziari. Un ambiente molto milanese, che si considera da sempre neutro nei confronti della politica romana ma molto attento a leggi e provvedimenti che riguardano questo settore. E il timore per la decadenza della Borsa, e del connesso ruolo di Milano capitale della finanza, si sta facendo sentire parecchio. Se ne è parlato in un incontro con la stampa in un originale ristorante della città, introvabile senza indicazioni, al secondo piano di un palazzo storico.

A tavola, lo stato maggiore della ex Assosim, ribattezzata Amf Italia, l’associazione degli intermediari finanziari nel cui direttivo figurano, tra gli altri, Intesa Sanpaolo, Mediobanca Finecobank, Unicredit, Intermonte ed Equita. Per tutti, in questo colloquio con il Foglio, parla il presidente Marco Ventoruzzo, che è ordinario di Diritto commerciale all’Università Bocconi e socio dello studio Pedersoli Gattai. “Siamo di fronte a un fenomeno, quello del delisting, che sta colpendo i mercati azionari di tutto il mondo, ma che in Italia rischia di fare maggiori danni a causa della scarsa presenza di investitori domestici rispetto ad altri paesi europei”, riflette Ventoruzzo.  L’Amf ha deciso di aprire una sede a Bruxelles per facilitare il dialogo con le istituzioni Ue ora che il “listing act” – vale a dire il pacchetto di misure che serve per rilanciare le quotazioni nel vecchio continente creando una base comune di regole tra i vari paesi – sta per essere approvato e dovrà essere recepito anche in Italia, dove il Parlamento sta per approvare il ddl Capitali. “Apprezziamo l’attenzione che l’Europa e il governo italiano stanno dimostrando per il rilancio della Borsa – dice Ventoruzzo – Ma qui non serve solo snellire le procedure, servono nuovi investitori. Stimolare le piccole e medie aziende italiane a quotarsi è utile se poi queste trovano chi è disponibile a sostenerne lo sviluppo nel lungo periodo”. In effetti, gli investitori istituzionali domestici a Piazza Affari rappresentano a malapena il 10 per cento, la restante parte sono fondi esteri, mentre in paesi come Francia e Germania sono almeno il doppio e nel nord Europa arrivano anche al 50 per cento. Ma chi sarebbero i soggetti più indicati a svolgere questo ruolo? “Gli enti previdenziali investono ancora molto poco sull’economia tricolore perché preferiscono i mercati azionari stranieri – prosegue – Mi pare un paradosso perché le nostre aziende sono spesso più attraenti di quelle che si trovano altrove”.  

Casse ed enti previdenziali, però, sono da sempre roccaforti di potere politico e soggetti a indirizzi e controlli ministeriali. Difficile che si muovano senza un indirizzo strategico in questo senso. Ma qualcosa si muove perché proprio nei giorni scorsi il ricco e potente fondo pensione dei metalmeccanici, Cometa, ha avanzato, durante un’audizione alla Camera, una proposta per costituire un meccanismo che favorisca gli investimenti diretti dei fondi pensione nelle imprese e nelle infrastrutture italiane, attualmente fermi al 5 per cento su un totale di 223 miliardi di risorse raccolte. “Stimolare la previdenza complementare a una maggiore partecipazione al mercato dei capitali interno è secondo noi la soluzione, attendiamo di leggere i dettagli della proposta", incalza il numero uno di Amf.

Le imprese familiari sono, però, quelle che hanno più timore di perdere il controllo e quindi più refrattarie nei confronti degli azionisti terzi, soprattutto nella governance. Non si spiega così la fuga in Olanda di diversi gruppi? “Amsterdam ospita il più elevato numero di imprese del nostro paese, attratte dalla possibilità di aumentare il peso decisionale dei soci di controllo ma anche da facilitazioni di carattere fiscale. Sotto questo aspetto sono fiducioso che il Ddl capitali possa contribuire a fermare questo fenomeno”. Resta il fatto, però, che tante società, e Tod’s ne è un esempio, non si delistano per quotarsi altrove ma per godere di maggiore flessibilità. Non c’è anche una crisi della Borsa come luogo per realizzare i progetti imprenditoriali che possono trovare nei fondi di private equity i partner ideali? “Direi che è possibile, anzi è quello che sta succedendo un po’ in tutto il mondo. Persino Wall Street non è immune dal fenomeno del delisting. Però dappertutto si stanno cercando soluzioni per rilanciare i mercati azionari e in Italia non c’è più tempo da perdere”.
 

Di più su questi argomenti: