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Un “Compianto” per l'oggi, la succulenta quaresima al Diocesano

Francesca Amé

Fino all’11 maggio, il Diocesano accoglierà l'opera di Giovanni Bellini grazie al prestito dei Musei vaticani. Il capolavoro del maestro veneziano potrà essere ammirato all'interno di un'originale esposizione, ricca di altri contributi 

Il Museo diocesano Carlo Maria Martini in quaresima non digiuna, anzi apparecchia uno dei menù più succulenti di questa stagione delle mostre a Milano, accontentando i palati dei cultori dei grandi maestri e quelli degli appassionati di contemporaneo. Merito della direttrice Nadia Righi, che sa come mescolare a dovere ingredienti e ospiti.

Da questa settimana e fino all’11 maggio, il Diocesano accoglie infatti il Compianto sul Cristo morto di Giovanni Bellini (1435-1516), super prestito dei Musei vaticani, ottenuto con la benedizione della direttrice Barbara Jatta che ha inviato Fabrizio Biferali, curatore del reparto arte dei secoli XV-XVI dei musei pontifici, a suggellare nella curatela con Righi questo nuovo progetto milanese condiviso tra le due istituzioni. Il capolavoro del maestro veneziano, che ai Vaticani sconta la pena di trovarsi subito dopo l’impareggiabile Salone di Raffaello, a Milano può essere ammirato per bene quale guest star di un’originale esposizione che contempla altri invitati. Coinvolgendo quella fucina di talenti che è Casa Testori, il Diocesano propone in mostra anche una sezione, curata da Giuseppe Frangi, dove quattro artisti contemporanei (Letizia Cariello, Emma Ciceri, Andrea Mastrovito, Francesco De Grandi) dialogano con il capolavoro del Bellini. In giornate meteorologicamente pesanti in città, una ventata di aria salubre, fatta di pensiero & bellezza.

Di tutti i modi possibili per portare un capolavoro in città (e in questi anni ne abbiamo visti di ogni) il Diocesano ha scelto il migliore: il visitatore è preso per mano in un percorso emozionale che contestualizza l’opera così da poterne godere appieno la visione e poi è invitato a interrogarsi sui suoi significati attuali. Le prime due sale ci spiegano chi fu Giovanni Bellini e come concepì il Compianto, dipinto che originariamente era la cimasa, ovvero la parte alta, di una grande pala, detta Pala Pesaro, fatta dal veneziano per l’altare maggiore della chiesa di San Francesco della città marchigiana (ancora oggi la Pala è conservata nei musei civici locali). Di quel lavorone del Bellini – che per l’occasione rivoluzionò il concetto di pala, realizzando un’opera perfettamente componibile senza usare neanche un chiodo – al Diocesano vediamo il punto che originariamente era posto a quasi cinque metri d’altezza. L’allestimento in mostra ci accompagna all’incontro faccia a faccia con un’opera di incredibile potenza: il Cristo, ormai cadavere, è sostenuto da Giuseppe d’Arimatea mentre Nicodemo tiene l’ampolla degli unguenti che la Maddalena, in un incredibile incrocio di mani che costituisce il fulcro del dipinto, usa per profumare il corpo di Gesù. Tra i dettagli pazzeschi che si riescono a osservare bene in mostra: la sovrapposizione di barbe tra quella di Cristo e di chi lo sostiene, la delicatezza del gesto della Maddalena, le sopracciglia aggrottate di Nicodemo. Trafugato da Napoleone, riportato a Roma grazie ad Antonio Canova nel 1820, questo Compianto del Bellini è privo di dolore ed è denso di cura. Lo sfondo del cielo azzurro, con le nuvolette, pare un accenno di speranza.

Che cosa può dire questa opera del 1475 a noi, oggi? Molto, a giudicare dai lavori ispirati al tema del compianto (letteralmente “piangere insieme”) che sono stati realizzati dagli artisti coinvolti da Frangi. Le loro quattro letture, una per ogni sala adiacente al capolavoro del Bellini, portano in città pezzi di arte contemporanea ad alta densità di senso. Cariello realizza una complessa installazione sul tema del dolore che vede al centro i suoi capelli, rimando preciso a Maria Maddalena, Ciceri confeziona un video che, partendo dal dettaglio delle mani al centro della scena del Bellini, ragiona sul tema della maternità e dell’attenzione all’altro. De Grandi dipinge la solitudine di oggi mentre Mastrovito (è suo, a nostro giudizio, il lavoro più convincente) ci rinfresca la memoria, reinterpretando magistralmente una foto, uscita sui giornali nei primi giorni della guerra russa in Ucraina, in cui alcuni operai mettevano in salvo il Crocifisso della Cattedrale di Leopoli. Durante la Fashion Week  il Diocesano apre una mostra sulla cura (e sul sacrificio) del corpo, divino eppure umano: tempismo perfetto, ché questa città soffocata di smog pare alla disperata ricerca di un centro di gravità permanente, tra le passerelle dei tanti eventi in calendario. 
 

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