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Gran Milano

Perdere per forza? Il “metodo Pisapia” di Maran alla sfida del Pd

Fabio Massa

Nel 2010 il futuro sindaco invertì la rotta andando nelle periferie e convincendo politica e popolo. Oggi un giovane candidato cerca di emularlo, ma dovrà convincere terzopolisti e pentastellati che la regione Lombardia è contendibile 

Faceva caldo. Quello vero, umido di Milano: non quello anomalo di questo fine ottobre 2022. Era il luglio del 2010 e Giuliano Pisapia non aveva ancora deciso se candidarsi o no alle primarie per la scelta dello sfidante di Letizia Moratti, sindaco (ancora si diceva, senza scatenare dibattiti da domenica della Crusca) che ai tempi sembrava imbattibile. Sindaca di Milano da cinque anni, conquistatrice di Expo, simbolo di un centrodestra ammaccato dalle intemperanze del Cav. ma comunque in auge, che proprio nel 2010 aveva strappato il Piemonte, il Lazio, la Campania al centrosinistra. Giuliano, figlio di Giandomenico, principe del foro, iniziò ad andare in giro: in una città (di sinistra) comunque rassegnata politicamente alla sconfitta. Mise su un blog (scritto assai bene, c’è da dire) e si mise in testa di battere – come prima ed essenziale cosa – i mandarini del Pd. Che avevano un candidato peraltro di tutto rispetto e niente affatto rinunciatario, un numero uno vero e un appassionato “non professionista” della politica come Stefano Boeri: architetto-urbanista di mille visioni e idee. 

 

Alle prime assemblee Pisapia fece il pienone, e così annunciò di volersi candidare alle primarie – che a quei tempi erano una opportunità, e non un totem da sfasciare. Da là in poi la storia è nota. Le primarie furono l’ingrediente segreto della vittoria, il catalizzatore di un malessere verso il centrodestra al governo da lunghissimi anni e l’inizio della fine dell’egemonia del Pdl, coincidente con l’inizio della stagione del centrosinistra al governo: tra tecnici e politici e una sola vera interruzione, ovvero il governo giallo-verde. 
Dodici anni dopo, con un coefficiente di difficoltà assai più alto e una sfida praticamente impossibile, Pierfrancesco Maran ci sta provando con la regione Lombardia. Anche qui, i germi del possibile successo ci sarebbero anche: una classe politica e dirigente-tecnica che ancora non ha compiuto la transizione dal formigonismo al post formigonismo (un po’ di ruggine nei motori), la pandemia che ha picchiato duro, la crisi energetica per le aziende.

 

E soprattutto il malessere dell’elettorato rispetto al partito storico di riferimento, ovvero la Lega. Certo, il risultato lombardo di Salvini è stato ampiamente al di sopra non solo della media nazionale, ma anche di Friuli-Venezia Giulia e Veneto (segno di malesseri interni al partito, ma anche che la vera culla della Lega è e resta la Lombardia), ma il calo in termini di voti è stato drammatico e non è un segreto che Fratelli d’Italia vorrà tanto, pur non potendosi prendere tutto (ovvero la presidenza) senza sfregiare l’alleato Salvini. Che nel frattempo prova a recuperare centralità politica sfruttando le intemerate di Silvio. Insomma: il governatore rimarrà del Carroccio, come è logico che sia, ma le quote di potere saranno in mano a FdI.

 

Quindi, Maran. Vorrebbe le primarie, e vorrebbe candidarcisi. L’ha detto in un evento in piazza, davanti alla Feltrinelli, al quale non a caso ha partecipato proprio Giuliano Pisapia. Sono arrivate duecento persone, ma non le “grandi famiglie” del Partito democratico. Pierfrancesco Majorino, che di suo è un politico furbo, ci è andato eccome, ma non ha ancora chiarito definitivamente la sua posizione su Carlo Cottarelli. Che poi è il vero tema, oggi. Che cosa farà Carlo Cottarelli? È in campo? Non lo è? È convinto oppure lo fa di malavoglia, come una cambiale da pagare? Quel che pare escluso è che il partito regionale voglia primarie su di lui, non fosse altro che sarebbe praticamente impossibile mettere d’accordo Movimento 5 stelle e Azione-Italia Viva su questa opzione. Se non ci saranno le primarie, dunque, non ci sarà neppure la battaglia alla quale Maran aspira tanto partecipare. Una battaglia alla quale, su questo giornale, Emilio Del Bono sindaco di Brescia ha dichiarato di potere e volere partecipare, in ottica regionali, e che pure Fabio Pizzul con i cattolici vivrebbe con entusiasmo. Vinca il migliore dunque, se qualcuno decidesse di fare la gara. 

 

Stessa identica situazione di quel 2010 assolato. E per questo Maran sta provando a fare la stessa cosa di Pisapia, dodici anni dopo. Gira nei territori, quelli periferici, quelli fuori città dove i dem ipotizzano (ma è proprio vero?) di sentirsi meno a proprio agio. Va a Seregno, Brianza, e riempie una sala. Butta dentro contenuti nel frullatore (a volte da affinare, ma per adesso basta l’entusiasmo). Inizia a raccogliere truppe, attiva reti, prova a contrastare la narrazione secondo cui, visto che è tutto perduto, la cosa migliore è cercare di fare personal branding, tentazione assoluta di Carlo Calenda. Tanto più che con una Letizia Moratti che ancora non è fuori dal gioco per le Olimpiadi, e che comunque è vicepresidente ancora in carica mentre le elezioni si avvicinano, il percorso e la candidatura con il Terzo polo diventano sempre più accidentati.

 

Il gioco di Maran è un gioco difficile. Perché è una doppia sfida. La prima è quella di provare a convincere i terzopolisti e i pentastellati che la Regione è contendibile e che ci si può mettere d’accordo sulle idee: andando a spezzare lo schema che porta Calenda a ballare da solo e il Pd nelle braccia dei Cinque stelle. Esattamente come Giuliano Pisapia fece a parti invertite (Boeri aveva appeal al centro ma la sinistra radicale storceva il naso, arrivando alla candidatura situazionista del premio Nobel Dario Fo), e riuscendo nell’impresa di mettere d’accordo l’intero arco del centrosinistra.

 

La seconda è una sfida diretta, aperta, franca al Partito democratico romano e alle sue declinazioni lombarde, articolate nelle varie correnti. Una sfida che è un tentativo di dare scacco (difficile che sia matto, purtroppo) a un sistema che non premia il consenso, non premia il merito amministrativo, pensa solo alla riduzione del danno e finisce per ridurre i voti e le percentuali. Insomma, a un sistema a perdere. Una via stretta, quella di Maran, probabilmente una scalata impossibile anche perché dall’altra parte Attilio Fontana ha a disposizione una carta vincente: quella di anticipare le elezioni regionali a febbraio. Non di molto, dunque, neppure un mese. Ma quanto basta per levare un mese di fiato a un partito già in affanno.