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Serve una “Fiera Italia”. Dopo il Covid, ultima chiamata per tutti

Giovanni seu

Luca Palermo, ad e direttore generale di Fiera Milano: “Dopo 18 mesi di pandemia stiamo andando meglio delle nostre previsioni che fissavano nel 2025 un ritorno allo stato precedente”. Ma per riprendere bisognerà aggiornare il modo di fare fiera

Per un settore come quello delle fiere due anni di Covid avrebbero potuto avere effetti letali. Fiera Milano spa, la più importante d’Italia che presidia tutta la filiera espositivo-congressuale milanese, ha visto assottigliarsi la capitalizzazione dai 389 milioni del 2019 ai 217 attuali, nello stesso periodo il prezzo di un’azione è passato da 5,48 a 3,06 euro mentre il fatturato da 280 a 168 milioni. La presenza dei visitatori conferma quando sia stata pesante la caduta: l’Artigiano in Fiera che nel 2019 aveva accolto oltre un milione di persone lo scorso dicembre ha toccato i 600 mila, peraltro un buon risultato. Lo stesso Salone del Mobile ha segnato 260 mila presenze contro le quasi 390 mila di tre anni fa. Numeri che non sono riusciti a piegare il settore fieristico, come afferma al Foglio Luca Palermo, ad e direttore generale di Fiera Milano: “Dopo 18 mesi di Covid stiamo riprendendo, come ha dimostrato il Salone del Mobile, grazie anche alla ferma volontà della imprese di tornare in trincea: in epoca pre Covid ospitavamo oltre 50 manifestazioni l’anno, da febbraio a oggi ne abbiamo già fatte 26 e, nonostante Omicron, non abbiamo cancellato nessuna manifestazione. Stiamo andando meglio delle nostre previsioni che fissavano nel 2025 un ritorno allo stato prepandemia”.
Ma per riprendere bisognerà aggiornare il modo di fare fiera. Gli ultimi tre anni hanno accelerato processi già in atto rendendo obsoleto il sistema italiano: “Le imprese sono diventate più selettive – spiega Palermo –, si presentano solo nelle fiere leader di settore, dobbiamo riuscire a rispondere a questa nuova esigenza, creando partnership: non è facile, veniamo da una tradizione di campanilismo che ci impediva perfino di dialogare, ora non è più così”. Un metodo che sta producendo i primi risultati, come testimonia l’accordo con la Fiera di Parma per la fusione tra la milanese TuttoFood e la parmense Cibus che porterà alla nascita di una piattaforma fieristica europea nel comparto agro-alimentare: le due manifestazioni potranno così specializzarsi evitando doppioni. Ancora alla prima fase, invece, le trattative con Firenze Fiera, per ora si è arrivati a un accordo di riservatezza per definire una partnership strategica che lanci una collaborazione commerciale. Ma la strada sembra segnata, se si vuole competere con la Germania, paese leader nelle fiere, e convincere le aziende a restare in Italia occorre fare sistema: “Le fiere sono un motore dello sviluppo economico, un moltiplicatore di business ma anche di turismo d’affari alto-spendente, di servizi specializzati e di posti di lavoro per cui non possiamo limitarci alla fusione o alleanza di due fiere ma dobbiamo pensare a un sistema Fiera Italia: dobbiamo creare compagini nazionali ad esempio nell’agroalimentare”. In questo quadro un ruolo di primo piano spetta alla società di Rho: “Dobbiamo essere propositivi ma attenti alle esigenze degli altri, non dobbiamo svolgere la parte di assopigliatuttto: da Milano deve giungere con umiltà e determinazione un contributo alla ripartenza”, dice l’ad di Fiera Milano. Condizione fondamentale sarà muoversi con tempismo, evitando di perdersi dietro logiche di difesa del territorio: “Dobbiamo cogliere l’opportunità subito, il biennio 2022-23 sarà decisivo: se non lo sfrutteremo saremo condannati”.   
Giovanni Seu

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