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Così Milano accoglie i profughi dall'Ucraina

Cristina Giudici

Diecimila se si contano tutti, compresi i tanti arrivati in modo autonomo. Una minoranza vanno nei centri di accoglienza (fino a ora sono 200) perché quasi tutti raggiungono parenti, conoscenti o vanno nelle famiglie che si sono offerte di ospitarli

I più provati sono quelli che hanno fatto un viaggio lunghissimo per arrivare in Italia dalla città martire di Kharkiv. Scesi dal pullman, prendono in mano i giochi per i bambini e restano un po’ impacciati, davanti alla ricca colazione che gli studenti e familiari del collegio della Guastalla di Monza hanno preparato per accoglierli. Anche se dovremmo dire provate perché tutti i profughi che stanno arrivando – grazie alla staffetta umanitaria di varie associazioni o al desiderio di coppie, studenti, gruppi di amici che prendono un furgone e vanno al confine polacco – sono donne che arrivano coi propri figli e parenti. Martedì mattina, ad aspettare un nuovo pullman di fuggiaschi dalla guerra di Putin, c’erano i volontari dell’associazione I Bambini dell’Est che in sinergia con Refugees Welcome Italy e con l’assessore alla Casa Pierfrancesco Maran da giorni organizzano la presa in carico di alcuni delle migliaia di profughi arrivati in Lombardia.

 

Diecimila se si contano tutti, compresi i tanti arrivati in modo autonomo. Una minoranza vanno nei centri di accoglienza milanesi (fino a ora sono 200) perché quasi tutti raggiungono parenti, conoscenti o vanno nelle famiglie che si sono offerte di ospitarli. Secondo la prefettura, le famiglie che hanno fatto la dichiarazione di ospitalità sono fino a oggi 500, ma la macchina della solidarietà sta crescendo. Nel giardino del collegio della Guastalla ci sono anche famiglie arrivate anche dal Piemonte per ritrovare gli ex bambini di Chernobyl che sono stati i loro “figli del cuore” per diversi anni e ora sono diventati profughi adulti. Il prorettore don Marcello Brambilla spiega che il collegamento con la scuola è nato un po’ per caso, per un tam-tam perché sul pullman in arrivo c’è anche suo nipote che è andato a dare una mano. Un tam-tam che non si ferma mai, dato che fra la piccola folla che si è riunita ad aspettare l’arrivo dei profughi ci sono anche gruppi di amici che sono arrivati per informarsi come fare a partire, cosa portare, dove andare e cosa fare al ritorno.

 

Tutti con lo stesso sentimento e identica motivazione. “Non potevamo restare a guardare, senza fare niente. Ci sentivamo impotenti”, dicono. Una giovane, capelli scuri, rossetto sbavato, arrivata con la madre da Kharkov prende il cellulare per comunicare con il traduttore di Google e ha una sola domanda da fare: “E ora dove andiamo?”. Nella sua richiesta è sottesa una supplica perché il viaggio è stato lungo, vuole fermarsi. Vuole un punto fermo dopo che il mondo che le è crollato addosso, insieme alle bombe. La rete dei Bambini dell’Est, ex Bambini di Chernobyl, ha intrecciato i destini di due popoli grazie alle tante adozioni fatte negli anni. Come ha fatto Silvia Mugnano di Bambini dell’Est che ha coordinato l’arrivo dei profughi a Monza per poi portarli nelle loro nuove famiglie. Docente di Sociologia dell'ambiente e del territorio dell’università Bicocca ha adottato uno di quattro fratelli orfani. E ora che è arrivata la guerra, ha accolto parte del resto della famiglia che si è creata negli anni. E poi ci sono tutti gli altri che si rivolgono alle associazioni per andare al confine polacco. Come Simone – immobiliarista con tre figli – che non voleva stare fermo a guardare il bollettino di guerra in televisione. Con una coppia di amici, è andato al confine dove i profughi si rifugiano in un centro commerciale e ha portato in Italia dieci persone. “C’era un silenzio impressionante”, ricorda. “Alcuni, una volta arrivati a Milano, sono andati in altre città dove avevano familiari ma a bordo avevamo una madre con suo figlio che non sapevano dove andare e li abbiamo accolti a casa nostra. La madre è un chimico, il figlio giocava a scherma a livello agonistico. Entrambi non sono venuti per restare, sperano di tornare alla loro vita, a Kyiv”.

 

Davanti a tanti bambini e donne e qualche anziano trovati alla frontiera; davanti a chi arrivava con un sacchetto di plastica e la cesta con un gatto nelle mani, anche lui non è riuscito a fermarsi e ora sta pensando di affittare un pullman per andare a salvare altri profughi. Martedì scorso, nel giardino del Collegio della Guastalla, c’erano gli studenti che hanno scritto lettere ai loro coetanei ucraini scesi dal pullman, disorientati, con la mente rivolta a tutto quello che hanno lasciato. Ad aspettarli c’era un discreto assembramento di volontari, cittadini, famiglie che vogliono dare loro una tregua semplicemente perché non possono fare a meno di aiutarli. 
 

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