Foto Ermes Beltrami / LaPresse 

Gran Milano

40 mila nuovi milanesi in arrivo da Kyiv. La corsa ad accoglierli

Cristina Giudici

Sin dalle prime ore dopo l’invasione i cittadini hanno reagito come se i soldati russi fossero nel loro giardino di casa. Non hanno aspettato che le istituzioni si muovessero per aiutare il popolo ucraino

Davanti all’emergenza ucraina, la Milano angosciata dai presagi di guerra non ha aspettato che le istituzioni si muovessero. Sin dalle prime ore dopo l’invasione, i cittadini hanno reagito come se i soldati russi fossero nel loro giardino di casa. Nelle parrocchie, nelle tante associazioni del terzo settore, sono arrivate valanghe di aiuti e tante, persino troppe mani operose. Al punto che dopo una settimana di guerra, davanti all’esodo ucraino di donne e bambini, sono stati in tanti a dire fermatevi, basta indumenti, portate solo medicine o aiutate con una donazione. Sarà perché siamo davanti a una guerra europea. Sarà perché la prima migrazione dall’Ucraina è stata quella di donne venute in Italia a fare le badanti e che hanno intrecciato il loro destino con quello delle famiglie italiane. La generosa mobilitazione della città metropolitana è senza precedenti. E senza alcuna opposizione, dato che a Palazzo Marino lunedì scorso è stato votato un ordine del giorno condiviso da tutti i gruppi politici per attivare la macchina dell’accoglienza.

 

Con una sola parola d’ordine piuttosto esplicita: andiamoli a prendere e aiutiamoli a casa nostra. Ogni giorno partono carovane di ogni genere e sorta. Anche gruppi informali di amici o associazioni minori, che caricano le loro macchine di medicine e vanno alle frontiere di Polonia e Romania per portare in Italia i profughi. L’assessore al Welfare Lamberto Bertolè osserva che, a differenza dell’emergenza dell’esodo siriano del 2014, la macchina dell’accoglienza è molto più complessa: “Allora dovevamo coordinare per lo più la prima accoglienza di un flusso di profughi in transito. La maggior parte proseguiva per altri paesi europei dove aveva reti familiari. Ora invece arrivano per ricongiungersi alle famiglie e restare per un periodo indeterminato. Oltre ai posti nei centri di accoglienza del Comune o gestiti dalla prefettura, dobbiamo coordinare lo screening sanitario (sono stati previsti 4 hub), l’inserimento scolastico dei bambini, il sostegno materiale alle numerose famiglie che hanno dato la loro disponibilità”. 


La cabina di regia sarà quella della prefettura, anche se ieri è arrivata a tutte le associazioni una direttiva che delegherebbe alla Protezione civile il ruolo di gestire il flusso e lo smistamento a livello regionale. Nel frattempo le associazioni umanitarie si sono organizzate in modo autonomo e hanno già accolto centinaia di profughi arrivati da soli o a bordo dei pullman che fanno la spola fra Milano e gli accampamenti improvvisati alle frontiere dell’Ucraina.  E questa volta, più che una polemica dovuta al solito uso strumentale dei profughi, le lamentele arrivano proprio dai volontari che accusano la macchina istituzionale di essersi mossa in ritardo perché non è ancora chiaro quando e dove verranno aperti i quattro hub per i tamponi (per ora si fanno in quello della Croce Rossa, a Bresso) né come fare per il permesso di soggiorno italiano, dopo che è stato deciso di lasciarli passare solo con il passaporto per entrare in Europa.

 

Al netto delle difficoltà di un sistema da mettere in piedi il modello precedente di utilizzare i centri di accoglienza non è sufficiente davanti a un esodo di enormi proporzioni, ancora nessuno sa quanti siano quelli già arrivati a Milano. “Tante donne raggruppano i figli di diverse famiglie e attraversano la frontiera”, ci spiega Valentina La Terza di Refugees Welcome che ha organizzato l’accoglienza grazie a una vasta rete di famiglie che già aveva aperto le porte ai migranti. Il sindaco Beppe Sala ha fatto una stima approssimativa degli arrivi sulla base della presenza dei residenti ucraini nella città metropolitana: 22 mila quelli regolari e 40 mila i profughi attraverso i ricongiungimenti familiari, ma bisognerà vedere quanti ne arrivano con la spinta emotiva oltre che umanitaria di #andiamoliaprendere. In queste ore di febbrili e complessi coordinamenti, ci sono tante realtà, però, che non hanno mai interrotto la macchina umanitaria e si muovono in modo autonomo ed efficiente. Come la Caritas o la comunità di Sant’Egidio.

 

Spiega Marzia Pontone, consigliere comunale di Demos, presidente della commissione Educazione e volontaria di Sant’Egidio a Milano: “Le famiglie si sono messe a disposizione in modo straordinario, ma poi bisognerà supportarle nella fase più delicata dell’inserimento linguistico, scolastico e professionale”. E’  presto per capire se l’impatto dell’esodo sarà attutito dalle famiglie disponibili a farsi carico degli orfani, delle madri che arrivano con i figli loro e altrui. “La tragedia ucraina potrebbe comportare un cambiamento positivo. Se tutta la città apre le porte ai profughi, forse alla prossima emergenza non ci saranno più distinguo fra profughi ‘europei’ e gli altri che scappano da conflitti lontani”, chiosa l’assessore al Welfare. 

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