Oh bej! Oh bej! (LaPresse)

Oh bej! Oh bej! nostalgy

Quest’anno niente fiera, ma da anni non era più quella. Voci dai ricordi, sperando torni. Ma al suo posto

    Lo capisce anche chi non è di Milano che “Oh bej! Oh bej!” vuol dire “Oh belli! Oh belli!”, espressione che usavano i bambini ricevendo i doni dell’inviato papale. Era il 1510 quando Giannetto Castiglione faceva il suo ingresso a Milano regalando dolciumi ai bambini che rispondevano in dialetto esclamando felici, visti gli inaspettati regali, Oh bej! Oh bej! Da lì è nato il nome della tradizionale festa del 7 dicembre, la fiera più antica di Milano (la prima edizione la si fa risalire addirittura al 1288), quella che insieme alla Prima della Scala celebra Sant’Ambrogio, gli eventi che sanciscono ufficialmente l’inizio delle festività natalizie all’ombra del Duomo. Quest’anno nulla, né la tanto ambita Prima del Piermarini né la fiera attorno al   Castello. Ma lì cade l’asino. Perché da quando gli Oh bej! Oh bej! si sono spostati dalla storica piazza Sant’Ambrogio dove stazionavano dal 1886 per arrivare a insediarsi in Foro Bonaparte la musica è cambiata e non son stati più la stessa cosa.  Più che un mercatino, gli Oh bej! Oh bej! hanno sempre rappresentato qualcosa di unico, un momento storico da vantare cinque secoli di età e, soprattutto merce rara come quella esposta sulle bancarelle che si snodavano anche nelle strette vie, spesso poco illuminate, capaci di creare un’atmosfera magica. La memoria corre a quei banchi di straordinari antiquari che esponevano vere e proprie opere d’arte, spesso trovabili solo in quella data e in quel luogo, stoffe antiche, gioielli dalle fattezze che ricordavano le grandi dame ottocentesche. E che si mescolavano ai mercanti espressione della tradizione meneghina: rigattieri, fioristi, artigiani, mestieranti, venditori di stampe e libri ma anche maestri del ferro battuto, rame e ottone, giocattolai, rivenditori di dolci, venditori di caldarroste e vin brulè, venditori di firunatt, le tipiche castagne infilate affumicate, produttori di miele e pittori. In piazza Sant’Ambrogio gli Oh bej! Oh bej! ci sono rimasti per 120 anni dopo essere stati in piazza dei Marcanti fino al 1886 per essere definitivamente trasferiti nel 2006 lungo il Foro Bonaparte, nella zona intorno al Castello Sforzesco, di fatto, cambiando volto al passato. Un trasferimento obbligato dall’inizio dei lavori della metropolitana, del parcheggio e pure delle lamentele degli abitanti. “Ho ricordi particolari dei primi anni ’80, quando, abitando fuori Milano, in provincia, si veniva apposta per andare agli Oh bej! Oh bej! – racconta al Foglio Giacomo Poretti, del mitico trio e ora protagonista dei video web di “Nonno Ambrogio” realizzati con il Tatro Oscar e deSidera – Era un appuntamento imperdibile perché era descritto come qualcosa di leggendario. Di leggendario c’erano sicuramente due cose: le file impressionanti, la calca e il sapore del mercatino. C’era sempre freddo, il tipico clima invernale milanese, un’atmosfera meravigliosa che ho vissuto per almeno una decina d’anni. Poi tutto è cambiato e si è snaturato, diventando un mercato come tutti gli altri. Quest’anno non si farà perché, come dice nonno Ambrogio, il virus ha dato una spallata ma ancor di più il ‘Black Fridays’, la festa del pianeta che si riconosce in questo orrendo momento nel quale ci fanno credere che siamo felici e che possiamo prendere tutto”. Nostalgia dei tempi andati? “So che dicendo queste cose il resto del mondo ci considera dei nostalgici, ma poi prima o poi scriverò qualcosa sull’argomento. Non rifiuto il nuovo che avanza ma possiamo dirlo che a volte la modernità e il nuovo fanno ‘cagare’ rispetto alle cose di una volta? Se ci mettiamo ad analizzare da un punto di vista sociologico e non solo si può dire che la modernità ha dovuto spesso rimangiarsi la lingua. Sommessamente, gli Oh bej! Oh bej! erano un momento bellissimo”. Dello stesso parere è Valentino Prina, orologiaio che agli Oh bej! Oh bej! ha esposto dal 1980 al 1985. “Oggi parliamo di un mercato che non ha nulla a che vedere con quello che è stato. Ero posizionato in via Nirone. Avevamo oggetti molto particolari, dagli avori ai ferri battuti di alta epoca. E siamo stati i primi a portare una vetrinetta con gli orologi vintage, gli albori di un mercato che si sarebbe sviluppato ben più avanti. Primissimi Ovetti della Rolex e i Prince e Tricompax dell’Universal. Arrivava una fiumana di gente, tanti curiosi ma anche tanti intenditori che spendevano, collezionisti di un certo livello. Non era un mercatino come altri, poca roba brutta e tanta che non valeva la pena di vedere. Si incassavano anche cifre importanti. Dal rigattiere a chi esponeva tele davvero di valore a chi a aveva mobili importanti, cassettoni Luigi XVI. Per avere il posto era una tragedia, era faticoso avere una piazzola, era un mercato molto ambito. Quando decisi di lasciare il livello cominciava già a calare con oggetti in stile e tanta fuffa falsa. Di conseguenza si è svilito tutto diventando un bric a brac, quasi un mercatino rionale. Non dimenticherò mai una vendita a un senza fissa dimora, interessato ad alcuni avori: ci chiese uno sconto che accordammo  e se li acquistò tirando fuori da un logoro cappotto un rotolo di banconote”.