Anomalie

Lo spirito inquisitorio che avvolge il processo parallelo sul caso Pifferi

Ermes Antonucci

Dall'indagine contro le psicologhe che hanno assistito in carcere Alessia Pifferi emergono interpretazioni unilaterali in senso accusatorio dei fatti da parte del pm

Crea non poche perplessità la lettura della memoria di circa cento pagine che, in maniera alquanto insolita, il pm milanese Francesco De Tommasi ha allegato al decreto di perquisizione adottato nei confronti delle due psicologhe coinvolte nel caso di Alessia Pifferi, la donna sotto processo per omicidio pluriaggravato per aver lasciato morire di stenti, nel luglio 2022, la figlia Diana di 18 mesi, abbandonandola in casa per sei giorni. Come raccontato ieri su questo giornale, De Tommasi ha di fatto aperto un processo parallelo, mettendo sotto indagine l’avvocato di Pifferi e due psicologhe del carcere di San Vittore, accusando quest’ultime di aver attestato falsamente che la donna ha un grave deficit cognitivo. De Tommasi ha aperto l’indagine parallela all’insaputa della collega con cui sta portando avanti il processo contro Pifferi, la pm Rosaria Stagnaro, che, una volta venuta a conoscenza dell’iniziativa, ha deciso di rinunciare al suo incarico. 

 

Per De Tommasi, le psicologhe sarebbero andate ben oltre la loro funzione, spingendosi a dare consigli sul piano difensivo a Pifferi e manipolando la sua mente. A sostegno della sua ipotesi, il pm riporta nella memoria le relazioni sui colloqui psicologici di routine redatte dalle stesse psicologhe (che quindi andrebbero innanzitutto “accusate” di essere state così ingenue da mettere nero su bianco i dettagli della propria attività illecita). Sfogliando la memoria ci si rende conto, però, di come queste relazioni siano state interpretate dal pm unilateralmente in senso accusatorio.

 

Nella relazione del colloquio del 2 novembre 2022, ad esempio, le psicologhe sottolineano le precarie condizioni emotive di Pifferi, i suoi continui flashback sulla bambina ma anche sul periodo di grave malattia del padre: “Sembra essersi riattivata la sofferenza per il lutto paterno che si somma a quella per la mancanza della figlia”. Le dottoresse riportano anche che la paziente si è lasciata andare a riflessioni sulle motivazioni che l’hanno spinta a cercare disperatamente un compagno e sulla base di queste appuntano una possibile spiegazione del meccanismo mentale che l’avrebbe indotta ad abbandonare per sei giorni la figlia a casa per stare con un uomo, ma non specificano mai di aver condiviso questa analisi con la paziente stessa. Nonostante ciò, per il pm la relazione del colloquio sarebbe la prova che le psicologhe si sarebbero “sostituite ai giudici e agli stessi difensori della Pifferi”, “assolvendo di fatto la donna” e offrendo “considerazioni che si traducono all’evidenza nel suggerimento di una tesi difensiva”. 

 

Non solo. Nella memoria il pm ignora completamente le ultime righe della relazione, che dimostrano come fin da subito – e non in una seconda fase, come sostenuto dal magistrato – le psicologhe si siano poste l’interrogativo su possibili deficit cognitivi di Pifferi: “La signora mostra un atteggiamento passivo nei confronti degli eventi tanto da non essersi nemmeno immaginata  di dovere scegliere un pediatra (‘nessuno me lo aveva detto’), di poter iscrivere la bambina al nido, di chiedere ad esempio il reddito di cittadinanza, di chiedere aiuto nel gestire la figlia ma anche se stessa con i suoi bisogni di donna e madre sola e disoccupata. Quanto descritto finora – prosegue la relazione – insieme al dato che la stessa paziente ha fornito in un precedente colloquio di avere avuto l’insegnante di sostegno alle elementari ‘perché più lenta degli altri bambini’ fa ipotizzare un possibile deficit cognitivo che sommato a qualche possibile trauma emotivo risalente alla prima infanzia ne limita le risorse cognitive”. 

 

Si è insomma di fronte a un’attività di cherry picking da parte del pm, che seleziona alcuni elementi interpretandoli in senso sfavorevole alle indagate, mentre ne ignora altri che mostrano il normale operato delle psicologhe.  

 

Come se non bastasse, De Tommasi si spinge pure a menzionare come anomalia il fatto che le due psicologhe “mantengono anche rapporti diretti con il difensore, con il quale interloquiscono via email e di persona”, come se questa non fosse una prassi normale nel rapporto tra gli avvocati e i loro assistiti detenuti. 

 

Insomma, l’iniziativa di De Tommasi appare piuttosto ardita. Resta da vedere come il capo della procura di Milano, Marcello Viola, cercherà di superare questo cortocircuito. 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]