L'intervista

Luigi Manconi: “Anche l'Italia vìola i diritti, ma Salis va difesa”

Gianluca De Rosa

"Nessuno può punire come meglio vuole perché ci sono norme e standard europei che vanno rispettati, a Budapest come a Roma”, dice il sociologo e presidente di "A buon diritto"

 “L’Italia non può dare lezioni, è vero, ma deve darle all’Ungheria e a sé stessa: io penso che si ‘possano dare lezioni’ nel nome della condivisione della carta europea dei diritti e della adesione ai principi dello stato di diritto, basta non essere ipocriti”. Luigi Manconi, già docente di sociologia dei fenomeni politici e presidente della onlus ‘A buon diritto’, non nega una cosa evidente, e cioè che “quanto è stato detto a proposito della detenzione in cella in Ungheria di Ilaria Salis lo si può dire anche a proposito di una parte dei detenuti italiani”. “Le condizioni in Italia – dice – penso siano migliori, anche perché qui l’opinione pubblica, le associazioni e i garanti esercitano un’attività di controllo. Ma se mi si chiede se in Italia si rispettano i diritti fondamentali della persona la risposta è no: nel corso del solo mese di gennaio, si sono tolte la vita 13 persone, con una frequenza di suicidi 20 volte superiore rispetto a quella registrata nella popolazione in generale, inoltre, al 40 per cento dei detenuti vengono somministrati psicofarmaci, in particolare quelli che hanno una funzione sedativa. E però – prosegue – questo non può impedire, in nome della comune appartenenza allo spazio giuridico europeo, di criticare e chiedere risposte a Budapest sulla vicenda di Salis”. 

  
Manconi, in pratica, ribalta quanto detto due giorni fa dal vicesegretario leghista Andrea Crippa: “Ogni paese decide come punire”. “Quell’affermazione – dice – va rovesciata, essere europei significa esattamente questo: nessuno può punire come meglio vuole perché ci sono norme e  standard europei che vanno rispettati, a Budapest come a Roma”. E però, dicono la premier Giorgia Meloni e il suo vice Antonio Tajani, Salis è stata arrestata in Ungheria e quindi è lì che deve essere giudicata, insomma, il governo può fare ben poco. “Calma”, comincia Manconi. “Sul trattamento come detenuta, della nostra connazionale, temo per inerzia del nostro ambasciatore, poco è stato fatto e molto ancora si può fare”. Poi c’è il processo. “Questo aspetto – sostiene Manconi – è molto più complesso: c’è un ordinamento giudiziario ungherese che ha le sue regole, ma sarebbe opportuno che l’amicizia politica tra Meloni e Orbán, mille volte dichiarata, si trasformasse in un’occasione per un atto di giustizia. Sotto il profilo politico diplomatico, è giusto chiedere che il governo italiano intervenga  a favore di Salis, che si possa arrivare, ad esempio, agli arresti domiciliari, magari presso l’ambasciata italiana a Budapest, come accadde ai due fucilieri, quelli che vengono chiamati impropriamente i due marò”. Ma se la magistratura è indipendente come può intervenire il governo ungherese? “Guardi, ho trovato bizzarre le dichiarazioni del nostro ministro degli Esteri sull’indipendenza della magistratura ungherese. Tajani è stato presidente del parlamento europeo e sa bene che commissione europea, corte europea dei diritti umani e parlamento europeo hanno reiteratamente criticato l’involuzione illiberale del regime di Orbán, della quale la compressione dell’indipendenza della magistratura è stata un passaggio decisivo. Credo che l’esposizione di Salis in ceppi non sia stata un infortunio, bensì un messaggio intenzionalmente inviato all’Europa per dire: questa è la nostra amministrazione della giustizia, questo è il nostro sovranismo giuridico”.


Intanto il padre di Salis ha querelato il segretario della Lega e vicepremier Matteo Salvini che aveva ricordato la partecipazione della maestra brianzola a un’aggressione a un gazebo del Carroccio a Monza nel 2017, per la quale però Salis è stata assolta.  “Dovrebbe esserci un limite all’uso della menzogna politica, penso che la querela del padre sia stata un atto di legittima difesa”.