diritti negati

L'ipocrisia italiana sul caso Salis

Ermes Antonucci

Giusta l’indignazione per l'attivista ammanettata in Ungheria. Ma sul trattamento degli imputati nelle aule di giustizia e sulle condizioni delle carceri l’Italia non può dare lezioni a nessuno. Parla l'avvocato Nicola Canestrini

"Sul caso Salis noi italiani non siamo nelle condizioni di dare lezioni a nessuno, né per quanto riguarda il trattamento degli imputati nelle aule di giustizia né sulle condizioni delle carceri”. Lo dichiara al Foglio l’avvocato Nicola Canestrini, esperto in cooperazione penale internazionale. Le immagini di Ilaria Salis legata per le mani e i piedi, e tenuta per una catena, durante l’udienza al tribunale di Budapest, hanno suscitato giustamente l’indignazione della politica e spinto le istituzioni ad attivarsi. “Sul rispetto dei diritti non possiamo transigere”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Coerenza, però, vorrebbe che questa intransigenza si applicasse anche a ciò che accade in Italia. 

 

Chiunque frequenti le aule di giustizia italiane sa benissimo che alle udienze dei processi gli imputati detenuti vengono solitamente fatti arrivare dal carcere in manette e poi collocati in gabbiotti con sbarre metalliche. Non solo, anche in Italia nel trasferimento dal carcere al tribunale i detenuti vengono trattenuti dagli agenti di polizia penitenziaria attraverso catene, seppur avvolte da gomma dura. Paese che vai, usanze che trovi. Così nella capitale ungherese Salis, accusata di aver aggredito due estremisti di destra, non è stata collocata in un gabbiotto, ma fatta sedere in prima fila davanti alla Corte, ammanettata e trattenuta da una catena legata alla cintura. In entrambi i casi parliamo di trattamenti contrari alla dignità della persona.

 

“La Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il diritto dell’Unione europea prevedono che la dignità umana e la presunzione di innocenza siano due diritti fondamentali, quindi non derogabili”, ricorda l’avvocato Canestrini. “Nel caso di Salis – prosegue – siamo testimoni di una gravissima violazione dei diritti fondamentali in un paese, l’Ungheria, che certamente non brilla per il rispetto dei diritti. Ma se certi princìpi vincolano l’Ungheria, vincolano anche l’Italia. Allora la domanda è: siamo noi in grado di ergerci a giudici delle condizioni di detenzione altrui?”. 

 

Il frequente uso dei gabbiotti con le sbarre metalliche induce a rispondere di no. “La Corte europea dei diritti dell’uomo – dice Canestrini – ha da tempo affermato che la restrizione degli indagati e degli imputati in gabbie con sbarre di metallo è sempre contraria all’articolo 3 della Convenzione, che vieta che un cittadino possa essere sottoposto a pene o trattamenti inumani o degradanti. Questo perché va tenuto conto della ‘natura oggettivamente degradante’ di una tale collocazione, dato che le gabbie appaiono all’opinione pubblica pregiudicanti per l’immagine dell’imputato, il quale inoltre per il confinamento in gabbie proverà un sentimento di umiliazione, impotenza, paura, angoscia e inferiorità”. 

 

Nelle ultime ore si è anche parlato delle inaccettabili condizioni di detenzione a cui sarebbe sottoposta Salis in carcere a Budapest, “tormentata da topi, cimici e pulci”. Anche sulle condizioni degli istituti di pena, però, l’Italia non può purtroppo offrire lezioni. “Dieci anni fa l’Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per i trattamenti inumani e degradanti derivanti dal sovraffollamento carcerario – ricorda Canestrini –. Oggi siamo tornati oltre le condizioni di sovraffollamento di dieci anni fa. Inoltre abbiamo ancora delle carceri senza acqua calda, senza riscaldamento, con i bagni a vista. Saremmo in grado di dare lezioni se noi fossimo perfetti. Ma non lo siamo”. 

 

Viste le condizioni in cui Salis viene trattenuta nelle udienze, il governo italiano starebbe ora spingendo affinché le autorità ungheresi concedano all’attivista gli arresti domiciliari e la autorizzino a scontarli in Italia. Una richiesta non proprio usuale. “Siamo proprio sicuri che se un cittadino ungherese fosse accusato in Italia di lesioni semplici o gravi sarebbe subito rimandato dai nostri giudici in Ungheria a scontare gli arresti domiciliari?”, si chiede Canestrini. “E’ già difficile ottenere gli arresti domiciliari da scontare in Italia, figuriamoci nel proprio paese di provenienza”. 

 

Del resto, a parti invertite i sovranisti alle vongole non reagirebbero in maniera positiva: se un imputato, “presunto delinquente”, dovesse chiedere di scontare gli arresti domiciliari nel proprio paese di origine probabilmente farebbero le barricate e griderebbero all’ingiustizia. “Esattamente. E’ quello che è avvenuto nei casi dei due ragazzi uccisi da due tedeschi nel lago di Garda, e del camionista che investì e uccise il ciclista Davide Rebellin a Vicenza. Il camionista venne fermato in Germania e si gridò allo scandalo perché non era stato incarcerato in Italia”, ricorda Canestrini. 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]