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la storia

“Vi racconto il mio calvario da giudice imputato”. Parla Andrea Padalino

Ermes Antonucci

La testimonianza del magistrato, assolto dopo quattro anni di gogna: "Il mondo all'improvviso ti crolla addosso. Attorno a te si crea il vuoto. Il tuo nome finisce su tutti i giornali. La banca non ti eroga il mutuo. Vivi notti insonni. L’organismo subisce un colpo e te lo dimostra con un carcinoma maligno"

“Quello che accade è che il mondo all'improvviso ti crolla addosso. Attorno a te si crea il vuoto. Il tuo nome finisce su tutti i giornali, sui quali vengono pubblicate intercettazioni  che non hanno alcuna rilevanza penale. Ti senti in imbarazzo per come le persone, con le quali ti relazioni, iniziano a guardarti e a porsi nei tuoi confronti. Dai colleghi di lavoro agli amici, passando per i famigliari. Torni a casa e tua figlia ti chiede: ‘Papà, ma cosa è l’abuso di ufficio?’”. Lo scorso dicembre l’ex pm di Torino, Andrea Padalino, è stato assolto in via definitiva dalle accuse di corruzione in atti giudiziari e abuso d’ufficio in un’inchiesta iniziata quattro anni prima su presunti “favoritismi” nella procura piemontese. Padalino, tra i volti simbolo della magistratura italiana (fu tra i gip di Mani pulite e poi, in anni recenti, pm delle inchieste sui disordini dei No Tav), era stato accusato dai suoi stessi colleghi torinesi di far parte di una “cricca dei favori in procura”. L’inchiesta poi passò per competenza territoriale a Milano. Dopo mesi di silenzio, Padalino racconta al Foglio il calvario vissuto in questi anni. 

 

Vivi notti insonni costellate da incubi. Ti alzi al mattino e non hai voglia di fare nulla. Dolore e sofferenza sono sempre presenti, come una ferita che non si chiude mai. L’organismo subisce un colpo, le difese calano (lo dimostra un carcinoma maligno con annesso intervento chirurgico). Ti separi. La banca non ti eroga un mutuo dicendo ‘sa dottore, con quello che scrivono i giornali, non possiamo correre dei rischi’. Quelli che dicevano di esserti amici svaniscono nel nulla. Hai paura di aprire un giornale e vedere il tuo nome. Hai paura di essere continuamente spiato e intercettato, e di vedere la tua vita privata spiattellata sui giornali”. 

 

La vicenda ha travolto la carriera di Padalino, costringendolo ad abbandonare la procura di Torino e a chiedere l’applicazione come giudice civile al tribunale di Vercelli. Un “beneficio”, quello del trasferimento in altra sede, del quale Padalino avrebbe fatto volentieri a meno: “Si creano situazioni imbarazzanti, sia per il giudice che per il cittadino-imputato, che è a conoscenza delle accuse rivolte al giudice. Tanto vale sospendere il magistrato”. 

 

Nonostante si trattasse di un magistrato, il meccanismo della gogna si è abbattuto su Padalino senza clemenza. “Alcuni quotidiani sono arrivati persino a pubblicare la notizia del mio interessamento alla sezione della scuola che mia figlia piccola avrebbe dovuto frequentare, come se ci fosse qualcosa di losco dietro”, racconta il giudice. “E’ difficile stabilire un punto di equilibrio fra la corretta informazione e il linciaggio. La fase cruciale è quella delle indagini. Se in quella fase si pubblicano determinate notizie il danno ormai è fatto e non è più riparabile, perché è vero che poi potrà arrivare l’assoluzione, ma come si fa a ridare credibilità a una persona, a un magistrato, che è stato accusato di corruzione in atti giudiziari?”, si chiede Padalino. 

 

“Nonostante le sofferenze subìte sento però anche di dovere delle scuse”, dice a sorpresa Padalino. Delle scuse a chi? “In molte occasioni mi è capitato di sentire persone, magari indagate, dire di essere vittime di ingiustizie, di processi mal fatti, di gogne mediatiche, di persecuzioni. In tutte queste occasioni ho sempre pensato che si trattasse di lamentele pretestuose. Questo era il mio ragionamento: io lavoro in un certo modo, rispetto le regole, ottengo in modo corretto i miei risultati e non perseguito mai nessuno, quindi sarà certamente così per tutti i miei colleghi. Mi sbagliavo profondamente. Mi scuso di aver ignorato le vittime innocenti di questo sistema: indagati, imputati, gente comune o eccellente, colpiti dal maglio di una giustizia di parte, autoreferenziale e proiettata verso un delirio di onnipotenza e in grado di distruggere vite, professionalità e calpestare esseri umani, colpevoli solo di essere un facile e magari utile bersaglio, da umiliare e mettere alla berlina su giornali e media compiacenti”. 

 

Insomma, dice Padalino, “non mi sono soffermato a riflettere sulle pericolose strade che il sistema aveva ormai imboccato”, come il dominio delle correnti togate: “Grumi di potere che in questi ultimi anni hanno assunto il controllo assoluto della magistratura. Le correnti non risparmiano nessuno, anche all’interno dell’ufficio di appartenenza, dove le carriere del singolo sono spesso condizionate dall’appartenenza a un gruppo”. “Questo dominio incontrastato delle correnti ha portato al tradimento di princìpi che dovevano essere intangibili, al degenerare di un sistema, con devastanti danni per quel popolo italiano in nome del quale si celebra il rito della giustizia”, conclude Padalino.