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La vita di Anna

Cos'ha deciso il tribunale di Trieste sulla morte volontaria e perché è importante

Chiara Lalli

I giudici hanno accolto la richiesta di una donna di verificare se ha le condizioni previste dalla sentenza 242 della Corte costituzionale per chiedere di scegliere quando può terminare la sua vita. L'azienda sanitaria dovrà verificarlo entro 30 giorni

Anna ha 55 e non si chiama Anna ma ancora non vuole rivelare la sua identità. “La mattina mi sveglio e la giornata trascorre mentre io sono ferma immobile e la mia famiglia con le mie assistenti si prendono cura del mio corpo. Ho una malattia che mi ha privato della mia autonomia, dipendo per tutto da chi mi ama e dalle mie assistenti”. Ha scoperto di avere la sclerosi multipla nel 2010 e ormai è completamente dipendente dagli altri, fatica a parlare, ogni gesto per noi banale è per lei impossibile. Dal 4 novembre 2022 aspetta che l’azienda sanitaria regionale verifichi se ha le condizioni previste dalla sentenza 242 della Corte costituzionale. Quella sentenza ha indicato le circostanze in cui la morte volontaria non è più un reato dichiarando “l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi […] agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.

Anna non ha chiesto un favore ma qualcosa che le spetta, cioè il rispetto delle sue volontà garantito dalla Costituzione e affermato più volte dalla Consulta, eppure le hanno risposto che avevano interpellato il comitato etico e che non potevano procedere in assenza di una legge. “Ogni giorno attendo che qualcuno mi avvisi che verrà a verificare le mie condizioni e come potrò accedere all’aiuto al suicidio quando lo vorrò”. La malattia le ha tolto quasi tutto e Anna vorrebbe poter scegliere, se e quando questa condizione diventerà per lei intollerabile (è già irreversibile), di non vivere più in questo modo. Anna ha solo due possibilità: continuare a vivere, aspettando che il peggioramento della malattia le farà perdere quel filo di voce che le è rimasto e sarà costretta a usare un puntatore oculare per comunicare e poi avrà bisogno di un respiratore e di una Peg quando non potrà più mangiare, oppure morire quando sarà lei a deciderlo, un po’ prima del tempo. “L’unica cosa che posso ancora difendere da un corpo che non mi risponde è la mia libertà di scelta, la mia mente, i miei pensieri, in un corpo che ogni giorno che passa mi priva di qualcosa. Chiedo ai dirigenti della mia azienda sanitaria di chiudere gli occhi e di immaginare cosa significa essere malati come me. Immaginare ogni singolo minuto ferma, immobile, in un tempo che non passa, trascorre lento”. Difesa da un collegio legale coordinato dall’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’Associazione Luca Coscioni, all’inizio di giugno Anna ha fatto presentare un ricorso d’urgenza per costringere l’azienda sanitaria a rispondere. A questo ricorso il 4 luglio ha risposto il tribunale di Trieste, accogliendo la sua richiesta e costringendo l’azienda a eseguire le verifiche entro 30 giorni. Dopo la verifica delle condizioni e il parere del comitato etico, se ci sarà corrispondenza con quanto indicato dalla 242, saranno indicati il farmaco e le modalità di assunzione. Se l’azienda continuerà a essere inadempiente, dopo questi 30 giorni dovrà pagare 500 euro per ogni giorno di ritardo. Il giudice ha anche condannato l’azienda sanitaria a pagare una parte delle spese processuali.

Il diritto di Anna è un diritto costituzionalmente tutelato, è il diritto di scegliere della propria vita che nei decenni – dalla Costituzione in poi – è stato rinforzato perché non ci sono alternative migliori. Siamo fatti diversamente, reagiamo diversamente alle malattie e ai farmaci, ai trattamenti e alla mancanza di autonomia e per questo motivo, in presenza di alcuni requisiti, dovremmo poter decidere che cosa è meglio per noi. Questa libertà è il fondamento di un mondo non paternalistico e non autoritario, che non dovrebbe usare il bene “vita” per annientare il bene “libertà”. Quella libertà che può anche non essere esercitata (se è garantita). Come dice Anna e come dicono molte persone afflitte da malattie incurabili e dolorose, la verifica delle condizioni non implica poi la decisione di ricorrere alla morte volontaria. Oggi quella verifica è un diritto che a qualcuno può non piacere. Ma c’è una soluzione: chi non vuole non è costretto a usarlo, ma chi desidera vivere (e morire) diversamente, dovrebbe avere la possibilità di ricorrervi e la garanzia di avere una risposta. Perché quel “diritto di scelta è l’unica libertà che noi tutti abbiamo quando la vita ci colpisce con una malattia che è una strada senza ritorno”.

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