Marcello Dell'Utri (Ansa)

Giustizia a quattro zampe

Fermi tutti: la Trattativa non c'è stata, ma Dell'Utri e Berlusconi erano in combutta mafiosa

Salvatore Merlo

A Firenze si indaga per la settima volta sui legami con il boss Graviano. Si tira in ballo perfino Massimo Giletti e la “misteriosa” fine del suo programma su La7

Dunque Silvio Berlusconi non era la vittima di un ricatto perpetrato da Marcello Dell’Utri per conto della mafia. No. Quella era la tesi del processo sulla Trattativa finito nel nulla dopo dieci anni e smontato in Cassazione qualche giorno fa. Dimenticatevi ogni cosa. Stop. Fermi. Si ricomincia da capo. La verità adesso è un’altra, ci spiegano. La verità è che Berlusconi non era vittima bensì era il compare di Dell’Utri. Erano in combutta, loro due, con il boss Graviano, a cui Berlusconi intanto, mentre che c’era, fregava pure una ventina di miliardi di lire per finanziare la sua scalata al cielo. Insomma Berlusconi e Dell’Utri hanno ordinato alla mafia di mettere nel 1993 le bombe a Firenze e volevano pure uccidere a Roma il loro dipendente Fininvest Maurizio Costanzo. Tutto chiaro. Di una logica cristallina. Inoppugnabile.

 

C’è un’indagine, pare. A Firenze. La sesta indagine in trent’anni su questa faccenda, una roba aperta e richiusa cinque volte dagli anni Novanta a oggi, manco fosse l’Alitalia o un bar della periferia di Caracas. Sei volte aperta, cinque volte chiusa, a volte da procure diverse, sì, ma spesso a quanto pare dallo stesso magistrato, Luca Tescaroli, che intanto cambiava ufficio ma non indagine. Ragione per la quale sarebbe utilissimo, a riprova che la giustizia in Italia è spesso una branca della letteratura fantastica, poter leggere cosa scriveva egli stesso nei dispositivi in cui ogni volta chiudeva l’inchiesta che poi tuttavia avrebbe riaperto. La notizia l’abbiamo riappresa ieri dalla lettura di un unico selezionatissimo giornale, il Fatto quotidiano, di cui il dottor Tescaroli è apprezzato editorialista, e dove appunto comparivano informazioni commentate a proposito di questa “nuova” indagine. Che, ovviamente, riguarda pure Massimo Giletti e la “misteriosa” fine del suo programma su La7.

 

Noi, poveri ingenui, pensavamo che Giletti fosse il re della tv-trash e invece egli stava scoperchiando i misteri indicibili della storia politico-mafiosa d’Italia. Ragione per la quale è stato messo a tacere (sveliamo il finale: la chiusura di Giletti l’hanno ordinata Berlusconi e Dell’Utri che sono meglio di Sauron e Thanos). Sappiamo bene che ormai, dopo trent’anni, per leggere questo genere di novelle bisogna usare il collare ortopedico, quello che adoperano i malati di artrosi per tenere ritto il collo, altrimenti la testa cade giù come una pera sul giornale. E infatti ci scusiamo con il lettore per questo nostro articolo, dopo il quale a qualcuno potrebbe anche venire voglia di camminare a quattro zampe.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.