Il non mistero della chiusura di Non è l'Arena

Ascolti dimezzati in cinque anni e raccolta pubblicitaria ai minimi

Salvatore Merlo

Se c’è una cosa che fa soffrire Cairo è perdere soldi, e il programma di Massimo Giletti su La7 perdeva 150.000 euro a puntata malgrado le acrobazie di un’informazione fatta a fumetti. Salvini lo vuole in Rai, ma FdI no

Chissà perché viene raccontato come un mistero. Urbano Cairo ha chiuso il programma di Massimo Giletti su La7, quello grazie al quale l’Onu è stata sul punto di inserire l’Italia nell’elenco dei paesi sottosviluppati, perché ormai Giletti gli faceva perdere una barca di soldi. E nell’ultimo mese la situazione si era fatta addirittura insostenibile: circa centocinquantamila euro di passivo ogni puntata. Insomma ogni santo giorno in cui “Non è l’Arena” andava in onda, Cairo, uno che a La7 riesce a tagliare i costi persino delle colazioni al mattino, che rinegozia al ribasso  pure i contratti già chiusi verbalmente, era costretto alla più spaventosa (per lui) delle ginnastiche: quella di svuotare il portafogli.

  

Circa duecentomila euro di spesa a puntata per tenere in piedi la trasmissione di Giletti, quando un talk-show, pure il più lussuoso, costa al massimo – volendo largamente esagerare – centocinquantamila euro a puntata. Con una raccolta pubblicitaria compresa tra i cinquanta e i sessantamila euro. Dunque in passivo. Assai in passivo. Per averne un’idea basta chiedere a qualunque produttore televisivo, agente delle star o dirigente Rai e Mediaset. Tutti per esempio sanno che il programma più redditizio di La7 è “Otto e mezzo” di Lilli Gruber, che non ha servizi giornalistici, non ha inviati in esterna, non ha impianto scenico di studio e i cui unici costi sono all’incirca il compenso della conduttrice e quello di alcuni ospiti fissi.

 

I denari si fanno così: spendendo il minimo  e raccogliendo il massimo di pubblicità. Un equilibrio delicato. Se salta perché calano gli ascolti, si va in perdita. E Cairo in perdita non ci vuole andare mai. Il verbo che preferisce è ovviamente “guadagnare”, mentre “pagare” gli piace un po’ meno.  In certe situazioni alcuni fornitori disperati hanno pensato di incatenarsi ai cancelli del santuario del divino amore durante la diretta di Corrado Formigli a “Piazza Pulita” pur costringerlo a farsi pagare. Il che rende l’idea. Cairo non è un finanziere come Caltagirone. Non costruisce automobili come Elkann. Non possiede un partito politico come Berlusconi. Vive di tivù e giornali. Che devono andare bene. O perlomeno non malissimo.  Inoltre, ha una ben nota fissazione, si direbbe quasi patologica, per le marginalità. Anche quelle minime.

  

C’è chi racconta di avere contrattato con lui per ore su cifre intorno ai ventimila euro. Altri per quella somma acquistano un’automobile semi utilitaria. Lui, per risparmiarli, ci perde una giornata intera. E bisogna dunque proprio immaginarsi la sofferenza addirittura fisica  che doveva a un certo punto provocargli Giletti che perdeva 150.000 euro al giorno. Non basterebbe forse Molière per descriverla. Ovvio che l’ha chiusa, quella trasmissione. Partito nella  stagione 2017-2018 con 1.403.813 spettatori, Giletti nei successivi cinque anni quegli spettatori li ha dimezzati arrivando oggi a una media di  779.979. E anche se in questa stagione si stava un po’ riprendendo, la pubblicità non entrava comunque. Ci dice l’amministratore delegato di una delle più grandi concessionarie pubblicitarie d’Italia: “Per piazzare un prodotto, lo sponsor chiede due cose: gli ascolti  devono essere buoni e la trasmissione adatta.

   

Pochi sono disposti a pagare per trasmissioni che vanno male. Praticamente nessuno è disposto a pagare per avere uno spot di biscotti dentro a una trasmissione che quando hai finito di vederla ti fa venire voglia di uscire di casa e spaccare le vetrine”. D’altra parte persino Giletti era consapevole del calo degli introiti pubblicitari. E se ne lamentava con amici e conoscenti. Però più andava male, più lui si spingeva su temi controversi, per così dire. Compresa la mafia e la stagione delle stragi. Spesso infatti l’insuccesso costringe questi conduttori di talk-show ad acrobazie  nel ramo dell’informazione a fumetti.

 

Addirittura pare che a un certo punto il famoso Salvatore Baiardo, il mezzo mafioso che lui ospitava a pagamento, quello della presunta foto di Berlusconi con lo stragista Graviano, si sarebbe offerto di dare una mano per trovare lui aziende interessate a investire nella pubblicità di “Non è l’Arena”. Roba tipo “Catania arancino express”. Dicono che questa ipotesi, nei giorni scorsi, avesse mandato nel panico i dirigenti di Fremantle, la casa di produzione che confezionava il programma di Giletti. La settimana scorsa un dipendente di Fremantle avrebbe infatti ricevuto questo incarico noiosissimo: andare a rivedere tutti i passaggi pubblicitari di “Non è l’Arena” in questa stagione e verificare che non ci fossero cose tipo aziende di Corleone operanti nell’export di olio d’oliva.

 

Erano terrorizzati che qualche azienda non precisamente specchiata potesse avere acquistato sul serio gli spazi pubblicitari. Sarebbe imbarazzante. Ma sarà stata certamente solo una spacconata, una delle tante, di Baiardo. Piuttosto, adesso si apre un’altra questione. Il narcisismo di Giletti lo spinge a pensarsi vittima di un’epurazione, perché è per natura incapace di accettare un fallimento professionale. Se lo prenderà la Rai? Chissà. E’ già iniziata una battaglia tra Matteo Salvini e Fratelli d’Italia. Fino a luglio Giletti non dirà praticamente nulla di questa faccenda, in quanto è ancora sotto contratto con La7.  Ma  il racconto giornalistico che se ne  fa, fitto di suggestioni e inafferrabili collusioni che fluttuano come gas sulle pagine dei quotidiani più sbrigliati, prepara forse  il terreno per una sua mega intervista di denuncia. Essere epurati, in Italia, equivale al Nobel.

   
Dunque Massimo Giletti non solo riceve ancora il suo compenso da La7, ma deve anche rispettare delle clausole di correttezza e di riservatezza. Insomma deve stare zitto. E infatti domenica è improbabile persino che vada da Enrico Mentana che ha annunciato di volergli dedicare uno speciale. Tuttavia alcune cose, uscite sui giornali in questi giorni, derivano probabilmente anche dai suoi malumori. Ed è comprensibile. La gola gli si riempie di nere supposizioni: oscure trame sono state ordite alle sue spalle, vanghe misteriose gli hanno senza dubbio scavato la terra sotto i piedi. Alcuni giornali hanno scritto: “Giletti preparava una trasmissione sulla mafia, su Marcello Dell’Utri e sul senatore D’Alì”. Che è senz’altro vero. E non sarebbe nemmeno una novità, visto che è quello che Giletti, e non solo lui su La7, fa da molti anni. D’altro canto Dell’Utri, che assunse Cairo a Fininvest quasi quarant’anni fa, non ne ha mai fatto mistero: è offeso con Cairo. Ce lo raccontava lui stesso a ottobre del 2021: “So bene che un editore bravo non interviene. Ci mancherebbe. Però, diamine, lui mi conosce. Come può pensare di me le cose che dicono in alcune sue trasmissioni?

 

L’informazione è una cosa. L’accanimento è tutto un altro paio di maniche”. Ma del malanimo o dell’offesa di Dell’Utri, e di Berlusconi, Cairo se n’è sempre infischiato. Allegramente impipato. Come infatti c’è un linguaggio dei fiori, così c’è anche un linguaggio di Urbano Cairo: ed è quello dei bilanci. Come lasciava che i talk di La7 si trasformassero a volte in un covo di No vax durante la pandemia, così l’editore rampante ha sempre lasciato che i conduttori di La7 potessero abbandonarsi a qualsiasi tipo di attività più o meno fantasiosa, per non dire morbosa o scombiccherata, com’è accaduto per esempio martedì scorso quando da Giovanni Floris si alludeva ridendo al fatto che Giovanni Paolo II, il Papa santo, fosse all’incirca un pedofilo. Insomma si può fare quasi tutto alla corte di Cairo, anche con la libertà  a volte di confondere l’informazione con quattro chiacchiere in stile osteria all’ora del bicchiere. Purché non si perdano soldi. E il problema di Giletti, appunto, è che invece i soldi li perdeva.

   

Dopo l’estate, una volta libero dal contratto che lo costringe al silenzio, che ne sarà di lui? Andrà alla Rai? Matteo Salvini, negli ultimi tempi ospite frequentissimo di “Non è l’Arena”, è stato l’unico leader politico a intervenire pubblicamente a sua difesa. Sentendosi forse in colpa per aver contribuito al flop degli ascolti di Giletti (basta guardare le curve auditel per constatare che Salvini è stato un diserbante sugli ascolti già non rigogliosi di Giletti: dove passa il leghista ormai non cresce più l’erba), gli ha espresso solidarietà. Con un tweet. Questo: “Il mio abbraccio a Massimo e alla sua squadra. L’ho sempre stimato e spero di rivederlo in video al più presto”. Salvini lo voleva già candidare sindaco prima a Torino, e poi a Roma. Adesso dicono tutti che voglia officiarne il ritorno in Rai. Bisogna però probabilmente aspettare che nell’azienda cambi la governance e venga mandato via l’attuale amministratore delegato. Si vedrà.

 

Tuttavia  gli uomini di Giorgia Meloni non sono inclini all’idea di prendere Giletti. Almeno così sembra. Giampaolo Rossi, che è il direttore generale in pectore, ha escluso che ci siano stati contatti con Giletti. Roberto Sergio, invece, che è l’amministratore delegato in pectore ed è un interno Rai, ha ammesso riservatamente di aver incontrato Giletti. Ma richiesto di dare spiegazioni ha precisato: “Era soltanto per un caffè”. Trattandosi di una trasmissione che in Rai rientrerebbe nell’incongrua definizione di “approfondimento”, il ritorno di Giletti dovrà coinvolgere anche il direttore dell’approfondimento. Che, nel futuribile organigramma della Rai meloniana, dovrebbe essere Paolo Corsini. Giornalista di destra, sì, ma non leghista. Sicché ieri sera girava una leggenda talmente fantastica e inverosimile da essere certamente vera: “Finirà che non potendolo riportare in Rai, Salvini candiderà Giletti capolista alle europee”.
 

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.