Un'immagine dell'udienza del processo per i morti del Covid (Lapresse)

L'editoriale del direttore

Da Bergamo a Cutro fino alla Juventus: storie dalla repubblica della gogna

Claudio Cerasa

Un tempo erano le indagini a influenzare i media. Oggi è invece l’opinione pubblica a dettare i tempi alle indagini. Cos'è un paese fondato sulla forca, dove gli applausi contano più delle prove

Che cosa tiene insieme la pazza indagine della procura di Bergamo, l’imminente sciacallaggio giudiziario sui fatti di Cutro e l’inchiesta sportiva sulla Juventus? Apparentemente nulla, si potrebbe pensare. In fondo, che filo volete che ci sia? Un’inchiesta riguarda la pandemia (ieri, per non farci mancare nulla, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza è stato indagato per “omissione in atti d’ufficio” in uno stralcio romano dell’inchiesta della Procura di Bergamo sulla gestione del Covid). Un’inchiesta riguarda le possibili omissioni compiute dalle istituzioni italiane rispetto al dramma del naufragio al largo di Cutro (oggi il Consiglio dei ministri si terrà qui). E un’altra inchiesta, quella della giustizia sportiva, riguarda la Juventus, penalizzata di quindici punti in campionato per via di un reato, relativo alle plusvalenze, che la stessa giustizia sportiva, nelle motivazioni di una sentenza dello scorso aprile con cui aveva prosciolto undici società deferite dalla Procura federale, ha ammesso essere più che aleatorio (martedì, intanto, il Tar ha accolto un ricorso presentato dal direttore sportivo della Juventus Federico Cherubini e dall’attuale dirigente del Tottenham Fabio Paratici in merito al carteggio avvenuto tra la Procura federale e la Covisoc con i “chiarimenti interpretativi” sulla questione plusvalenze). Che cosa tiene tutto questo, dunque?

 

La presunzione di colpevolezza dei condannati? Troppo facile. L’assenza di garantismo nel nostro paese? Troppo scontato. No, c’è qualcosa di più. C’è una novità sostanziale in queste indagini, come in molte altre, che indica una svolta importante nella cultura giudiziaria del nostro paese. Un tempo, ricorderete, si affermava, a ragione, che erano le indagini a influenzare l’opinione pubblica, che erano le inchieste a dettare l’agenda ai media e che erano i magistrati a riempire le lacune lasciate dalla politica. Oggi, invece, capita di assistere a un fenomeno diverso, ancora più preoccupante, al centro del quale vi è una dimensione diversa, all’interno della quale non è più un’indagine della magistratura a influenzare l’opinione pubblica ma è l’opinione pubblica a influenzare spesso un’indagine della magistratura. Succede così che a Bergamo i magistrati si sentono in dovere di portare avanti un’indagine non perché vi è la prova che sia stato commesso un qualche reato ma perché vi è la certezza che sia compito della magistratura dare voce al dolore dei cittadini per non deludere le loro attese. Succede così che a Crotone di fronte ai magistrati che hanno aperto un’indagine sulla catena dei non-soccorsi al largo di Cutro si presenterà presto una scelta: è possibile non rispondere al dolore di un paese intero senza promuovere un’indagine ad ampio spettro, portando cioè a Cutro ministri non per un Cdm ma per un interrogatorio finalizzato a soddisfare la sete di verità che c’è nell’opinione pubblica? E succede così che la giustizia sportiva, per evitare di essere travolta da un’onda di indignazione mediatica legata alle indagini relative a un’inchiesta che deve ancora celebrare la sua prima udienza preliminare (il 27 marzo), si senta in dovere, senza avere ancora prove, di condannare preventivamente una squadra di calcio solo per non deludere le attese dei tifosi di mezza Italia desiderosi di avere una risposta chiara alla loro indignazione.

 

Un paese che accetta supinamente di avere un’opinione pubblica tarata sul modello della buca delle lettere delle procure, è un paese che può o meno inconsapevolmente aggiunge ogni giorno un tassello al mosaico della repubblica giudiziaria. Ma un paese che accetta altrettanto supinamente di avere una magistratura desiderosa di rispondere più all’opinione pubblica che alla legge, è un paese che più o meno inconsapevolmente alimenta una repubblica altrettanto pericolosa, dove lo scalpo prende il posto dei processi, dove i sospetti prendono il posto delle prove e dove la ricerca degli applausi diventa più importante della ricerca delle prove. E a proposito di prove: ieri è stata archiviata dal Tribunale dei ministri una denuncia dei familiari delle vittime Covid contro i vertici del governo Conte con motivazioni che dovrebbero far impallidire di imbarazzo i pm di Bergamo che hanno scelto di indagare in questi giorni contro i vertici di quel governo. Gli esponenti di Palazzo Chigi non si possono ritenere responsabili di nulla dal momento che, si legge nel documento, “soprattutto in una situazione di incertezza come quella sopra descritta non era esigibile da parte degli organi di governo l’adozione tout court di provvedimenti in grado di impedire ogni diffusione dei contagi che non tenessero conto della necessità di contemperare interessi diversi e in particolare la tutela della salute e la tenuta del tessuto socio-economico della collettività”. Le indagini passano, lo scalpo resta, gli applausi pure, per le prove pazienza. È la repubblica della gogna, bellezza.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.