Perché a sentire l'Anm viene voglia di una commissione d'inchiesta sulle toghe

Ermes Antonucci

Il sindacato della magistratura contro l'organo parlamentare chiesto da Forza Italia: “Basta leggere le motivazioni delle sentenze per capire le vicende”. Ma leggendo alcune sentenze (da Eni-Nigeria alla Trattativa) viene da mettersi le mani nei capelli

Esistono tanti motivi per dirsi contrari all’istituzione della commissione d’inchiesta sull’utilizzo politico della magistratura, proposta da Forza Italia dopo l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby ter. L’argomentazione più debole, però, è stata senza dubbio offerta dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia: “E’ una scelta errata perché anch’essa figlia di un’idea tanto diffusa in ambienti politici quanto infondata, e cioè che la magistratura perseguiti qualcuno quando fa i processi”, ha detto il presidente del sindacato delle toghe a Repubblica.it. “Invece di fare questa commissione – ha detto – sarebbe sufficiente leggere le motivazioni delle sentenze e capire bene cos’è avvenuto e comprendere le vicende che si ritengono pregiudizialmente oscure”. Leggendo le motivazioni di alcune delle più importanti sentenze degli ultimi anni, però, viene da mettersi le mani nei capelli.

 

Prendiamo, ad esempio, il processo sulla presunta  corruzione compiuta da Eni in Nigeria, terminato con l’assoluzione di tutti gli imputati. Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione di primo grado, poi diventata definitiva, il collegio giudicante non solo sottolinea la mancanza di prove a sostegno delle accuse, ma critica duramente anche alcune decisioni “irrituali” e “incomprensibili” dei pm milanesi, come il mancato deposito di elementi favorevoli agli imputati (per queste ragioni i pm titolari dell’inchiesta, Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, sono stati rinviati a giudizio). Per di più, la procura generale di Milano si è rifiutata di impugnare la sentenza di assoluzione scrivendo chiaro e tondo che i motivi d’appello erano “incongrui, insufficienti e fuori dal binario di legalità”.

 

Prendiamo un altro caso: il processo contro l’ex ministro Calogero Mannino per la cosiddetta trattativa stato-mafia. Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione di primo grado, poi confermata in appello e diventata definitiva, la giudice Marina Petruzzella parla di “prove inadeguate”, “suggestiva circolarità probatoria”, “interpretazioni di colpevolezza indimostrate”. Prima ancora, Mannino era stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Ebbene, nel 2008 il procuratore generale presso la Corte di cassazione, nel chiedere (e ottenere) l’assoluzione di Mannino, definì la precedente sentenza di condanna “un esempio negativo, da mostrare agli uditori giudiziari, di come una sentenza non dovrebbe essere mai scritta”.

 

E cosa dire del “sequestro  avente primari fini esplorativi”, cioè a strascico, compiuto secondo la Cassazione dalla procura di Firenze nell’ambito dell’indagine sull’ex fondazione renziana Open? Oppure del “chiaro pregiudizio accusatorio” rintracciato dalla Cassazione nei confronti dell’ex governatore calabrese Mario Oliverio, indagato da Gratteri, e poi assolto? Insomma, a leggere alcune sentenze il Parlamento avrebbe dovuto istituire una commissione d’inchiesta su certi magistrati già da tempo.