l'editoriale del direttore

La Juventus senza giusto processo è un problema anche per chi odia la Juventus

Claudio Cerasa

Un magistrato che odia la squadra degli Agnelli e che si occuperà del futuro della squadra degli Agnelli. Una giustizia sportiva che sceglie di essere la luce riflessa del processo mediatico. Domande da non bianconeri sul processo contro la Juve

Non abbiamo alcuna intenzione di sottrarre agli amici di Repubblica lo scettro del garantismo, sul caso Juventus, e non saremo mai all’altezza della loro eroica battaglia in difesa della vecchia e nuova dirigenza juventina, battaglia combattuta in modo così profondo da aver fatto dimenticare alla corazzata di Rep. le vecchie e romantiche battaglie giustizialiste volte a denunciare l’oscenità dei conflitti di interesse. Non saremo mai all’altezza di Repubblica, lo sappiamo, ma nonostante questo non si può non condividere la profonda indignazione mostrata ieri dal giornale edito dalla famiglia Agnelli, la stessa famiglia che controlla la Juventus, quando ha appreso, con sconcerto, una circostanza che ai tempi dei magistrati indemoniati contro Silvio Berlusconi veniva considerata accessoria e che invece ora viene considerata decisiva per illuminare i pregiudizi ideologici che possono smuovere alcune inchieste giudiziarie. La storia probabilmente la conoscete già. Alcuni quotidiani, ieri, hanno riportato le parole risalenti al 2019 di un magistrato di nome Ciro Santoriello. Santoriello, nel corso di un evento pubblico, ha detto: “Sono tifosissimo del Napoli e odio la Juventus. Come tifoso è importante il Napoli, come pubblico ministero ovviamente sono anti juventino, contro i ladrocini in campo, e mi è toccato scrivere archiviazioni”.

 

Non ci sarebbe nulla di male a essere anti juventini, chi scrive confessa anzi di sentirsi particolarmente vicino all’affermazione di Santoriello, se non fosse che il suddetto pm è uno dei tre magistrati della procura di Torino che stanno indagando nel processo sulle plusvalenze a carico della società bianconera. In quell’occasione, nel 2019, le frasi di Santoriello arrivarono qualche anno dopo la scelta dello stesso magistrato di chiedere l’archiviazione di una denuncia a carico della Juventus per falso in bilancio.

 

Ma nonostante il precedente incoraggiante, la Juventus, e i giornali editati dalla stessa società che controlla la Juventus, ora hanno tutto il diritto di chiedersi se di fronte alla squadra torinese vi siano o no le premesse per un giusto processo. Il 27 marzo ci sarà la prima udienza preliminare per l’inchiesta Prisma, che dovrà stabilire se il club bianconero insieme con dodici indagati andrà  o no a processo per “false comunicazioni sociali”, “ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza”, “manipolazione del mercato” e “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”.

 

Il tema del giusto processo nei confronti della Juve è un tema che, in un sistema mediatico e forse giudiziario in cui la fede calcistica si trova su un piedistallo più elevato rispetto alla fede per lo stato di diritto, è stato spesso spinto verso i margini del dibattito pubblico. Ma le frasi di Santoriello sono l’occasione giusta per porsi qualche domanda sul processo contro la Juventus e sul modo in cui funzioni in Italia la giustizia sportiva. Sul secondo punto qualche considerazione si può già fare oggi e la risposta, e lo diciamo da interisti, è molto dolorosa: un anti juventino può anche godere fisicamente per la mazzolata che ha preso la Juve, e vederla lottare per la salvezza è un’esperienza che qualsiasi tifoso non juventino si augura di vedere una volta nella vita, ma avere una giustizia sportiva trasformata in una costola del processo mediatico è uno spettacolo che purtroppo appare pietoso per una serie di ragioni che vale la pena passare in rassegna. In primo luogo è difficile dire che la giustizia sportiva, che dovrebbe occuparsi di quello che succede in campo, non abbia scelto di occuparsi di cose che non le competono, ovverosia giudicare se qualche reato sia stato commesso o no. In secondo luogo, sulla specifica accusa per cui la Juve è stata condannata dalla giustizia sportiva vi sono alcune lacune che emergono a occhio nudo incrociando le 36 pagine di motivazioni della sentenza della giustizia sportiva e le 73 pagine di memoria difensiva presentate dalla Juventus.

 
Lacune non indifferenti se si pensa che la penalizzazione della Juventus è avvenuta in seguito alle accuse sulle plusvalenze della squadra torinese senza che la giustizia sportiva abbia però individuato una controparte con cui la Juve avrebbe fatto affari loschi (quando si individua un sovrapprezzo non giustificato dovrebbe esserci sia un venditore che vende a un prezzo più alto del dovuto sia un compratore che acquista a un prezzo più alto del dovuto) e senza che nessuno abbia spiegato come sia possibile che la Juventus sia stata condannata dalla giustizia sportiva per un reato che la stessa giustizia sportiva, nelle motivazioni di una sentenza dello scorso aprile con cui aveva prosciolto undici società deferite dalla procura federale, ha ammesso essere più che aleatorio, quando ha ricordato che il valore di un calciatore “è dato e nasce in un libero mercato, peraltro caratterizzato dalla necessità della contemporanea concorde volontà delle due società e del calciatore interessato”.

 

È possibile, anzi più che possibile, che la Juventus abbia commesso degli illeciti, e più che il caso delle plusvalenze per la Juve rischiano di essere un macigno le prove che esistono relative al reato di false comunicazioni sociali. Ma, per quanto sia diffusa la pratica dell’essere tutti detective da bar sport, a giudicare se un qualche reato sia stato commesso o no dovrebbe essere, fino a prova contraria, la magistratura ordinaria, non quella sportiva.

    

E per quanto sia doloroso ammetterlo, doloroso per tutti noi anti juventini d’Italia, non si può non riconoscere che i quindici punti di penalità inflitti alla Juventus siano stati assegnati sulla base di un teorema pericoloso: essere colpevoli fino a prova contraria. E dire che la giustizia sportiva si basi su un criterio di presunzione di colpevolezza non significa considerare la Juve innocente ma significa considerare la giustizia sportiva colpevole di aver scelto di condannare una squadra di calcio violando quello che è un cardine dello stato di diritto: condannare, per l’appunto, oltre ogni ragionevole dubbio, sostituendosi agli organi preposti anche per giudicare la necessità o meno di adottare una sanzione penale.

 

Potrebbe darsi che la Juventus meriti persino una sanzione maggiore rispetto a quella che le è stata attribuita. Ma avere una giustizia sportiva che si muove da grancassa del processo mediatico, che sceglie di sostituirsi al potere giudiziario che sceglie di trasformare i sospetti in prove, e avere una magistratura inquirente che mostra di avere manifesti pregiudizi ideologici nei confronti di chi sta indagando è il modo peggiore per poter dire che nei confronti della Juve giustizia è stata e verrà fatta.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.