Ansa

strumentalizzazioni rischiose

L'indipendenza della magistratura va difesa anche da certe derive mediatiche

Giovanni Fiandaca

Le spericolate teorie diffuse sull'arresto di Messina Denaro rischiano di favorire una grave delegittimazione del lavoro dei pubblici ministeri palermitani e delle forze dell’ordine. Finendo per pregiudicare o intralciare il corso delle indagini
 

In un articolo sul Sole 24 Ore di domenica scorsa, Giovanni Maria Flick, ex guardasigilli e presidente emerito della Corte costituzionale, ammoniva che anche l’antimafia deve operare nel rispetto della Costituzione. Un tale ammonimento prendeva spunto sia da polemiche e rischi di strumentalizzazione connessi alla cattura di Matteo Messina Denaro, sia da un recente saggio del giornalista Alessandro Barbano fortemente critico nei confronti dell’antimafia legislativa e giudiziaria (da me recensito sul Foglio, 1° dicembre 2022). 

 

Come anche Flick rilevava, l’analisi demolitrice di Barbano può peccare per eccesso, ma pone in evidenza alcuni aspetti molto problematici che invero sono stati esplicitamente riconosciuti, in un intervento svolto nell’ambito di una presentazione pubblica del libro suddetto, persino dall’attuale procuratore nazionale Giovanni Melillo (intervento poi pubblicato su giustiziainsieme.it, 8 dicembre 2022): tra questi aspetti, una perdurante autopercezione di ruolo che concepisce la magistratura penale come un baluardo contro ogni fenomeno criminale, secondo una visione che ha in sé i semi del conflitto e dell’esaltazione dei miti punitivi di una “società giudiziaria” che si nutre di ansia da complotti; e un frequente sovrapporsi di paralleli “cori mediatici famelici e strumentali” alle indagini e ai processi che si svolgono nelle canoniche sedi giudiziarie. Non a caso, proprio la tendenza a celebrare paralleli processi mediatici ha ripreso piede subito dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, insieme con l’ossessivo riemergere di tesi complottiste-trattativiste date pressoché per dimostrate pur in assenza di seri riscontri empirici: i lettori di questo giornale ne sono bene a conoscenza grazie ai ripetuti interventi in proposito di Cerasa, Sottile e Capone, i quali hanno denunciato il conseguente rischio di una grave delegittimazione del prezioso e paziente lavoro che i pubblici ministeri palermitani e le forze dell’ordine hanno svolto per sorprendere il grande boss latitante, e stanno continuando a svolgere per scoprire la fitta rete di complici e fiancheggiatori che lo hanno coperto (se dietro un arresto ufficialmente presentato come risultato di un’indagine da manuale si nascondesse davvero un retroscena fatto di consegna concordata o di nuove trattative tutte da decifrare, i magistrati e i carabinieri del Ros autori dell’operazione andrebbero bollati come ipocriti e collusi o farebbero la figura di professionisti ingenui e incapaci che non si accorgono delle trame ordite alle loro spalle!).  

 

Ma non si tratta soltanto di rischio di delegittimazione. Sollevare inquietanti dubbi sulla genuinità dell’operazione di polizia condotta a termine, e ipotizzare ben altri scenari oscuri a carattere trattativista con connesse ipotesi vaghe di scambio in termini di benefici penitenziari per capi mafiosi ancora all’ergastolo e/o in regime di carcere duro, comporta altresì un ulteriore duplice rischio, e cioè non solo di disorientare la pubblica opinione e di alimentare sfiducia nello stato e nella giustizia per effetto di una babelica proliferazione di verità contraddittorie, ma anche di pregiudicare o intralciare il corso delle indagini, compromettendo anche la serenità di giudizio di quanti in atto sono impegnati a compierle.

 

A ben vedere, l’autonomia e l’indipendenza di giudizio della magistratura non vanno difese soltanto rispetto alle interferenze del potere politico-governativo. È necessario proteggerle anche rispetto ai condizionamenti potenzialmente negativi derivanti da modalità di dibattito pubblico e stili di comunicazione mediatica poco attenti a bilanciare tutti i diritti e i valori costituzionali bisognosi di equilibrato contemperamento (libertà di manifestazione del pensiero e di informazione, interesse al contrasto della criminalità e alla repressione dei reati, garanzia di un esercizio della funzione giurisdizionale esente da pressioni o influenze indebite, quale che sia la fonte – anche mediatica – da cui provengono ecc.). Insomma, nessuna libertà può essere esercitata senza limiti derivanti dall’esigenza ineludibile di tenere conto di interessi o esigenze concorrenti egualmente meritevoli di considerazione sul piano costituzionale. E, a maggior ragione, questa libertà non dovrebbe essere illimitata ad esempio nel caso di trasmissioni televisive che, in luogo di effettuare inchieste in grado di  fornire nuovi e concreti dati di conoscenza suscettibili di valorizzazione giudiziaria, privilegiano la spettacolarità e il sensazionalismo, accreditando senza adeguato fondamento  narrazioni di grandi e indeterminati scenari criminali e misteriosi complotti che vedrebbero in eterna combutta capi mafiosi, imprecisati esponenti politico-istituzionali e immancabili settori deviati dei servizi segreti. 

 

Orbene, l’esigenza di porre un freno alle ricostruzioni più spericolate potrebbe, a mio avviso, anche giustificare una esplicita pesa di posizione del Consiglio superiore della magistratura, e in primo luogo del presidente della Repubblica che lo presiede quale massimo garante della Costituzione e dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura (autonomia e indipendenza che sono, appunto, da intendere come inclusive di una libertà di convincimento e di giudizio esenti da ogni forma di indebito condizionamento esterno). Il presidente Mattarella avrebbe senz’altro il potere giuridico-costituzionale di raccomandare agli organi di stampa e alle aziende televisive maggiore prudenza e sobrietà nell’informare il pubblico, in modo da evitare di veicolare suggestive rappresentazioni della realtà criminale frutto di ipotesi prive di effettivi riscontri. Un self-restraint ancora maggiore dovrebbe, ovviamente, essere raccomandato a quelle figure di magistrati-star che sono soliti partecipare alle trasmissioni in qualità di super esperti di mafia, la cui notorietà e la cui passione combattiva non giustificano affatto forme di libertinaggio esternante che possono oltretutto nuocere al lavoro o alla reputazione professionale dei colleghi direttamente impegnati nella gestione delle indagini e dei processi. Al di là del potere giuridico-costituzionale di intervenire nel senso suddetto, esiste – è vero – anche una questione di opportunità latamente politica, cui si può accompagnare il timore di lanciare ammonimenti destinati purtroppo a rimanere lettera morta. Ma persistere in un atteggiamento omissivo, come finora il Csm ha fatto, certo non giova a quel rispetto dei valori e dei bilanciamenti costituzionali che in teoria dovrebbe essere garantito anche sul versante dell’antimafia.

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