Via libera alla riforma della giustizia civile. Sul penale il futuro per Cartabia resta a tinte fosche

Ermes Antonucci

Il Consiglio dei ministri ha approvato i decreti attuativi della riforma del processo civile. Sul penale la Guardasigilli deve fare i conti con le insofferenze di Lega e Movimento 5 stelle

Il Consiglio dei ministri ha approvato ieri i decreti attuativi della riforma della giustizia civile, la cui delega scadeva il 24 dicembre 2022. Un risultato di grande importanza per il governo, che nel quadro del Pnrr si è impegnato a raggiungere l’obiettivo di abbattere del 40 per cento la durata dei processi civili entro cinque anni. I decreti prevedono numerose novità per velocizzare la giustizia civile, la cui lentezza produce da sempre effetti devastanti sul piano economico e sull’attrazione degli investimenti esteri.

Innanzitutto, vengono valorizzate le forme di giustizia complementare: la mediazione viene potenziata, anche con incentivi fiscali, la negoziazione assistita tramite avvocati viene estesa anche alle controversie di lavoro e si potenzia l’arbitrato. Per semplificare il procedimento civile, si prevede inoltre che la causa debba giungere alla prima udienza già definita nelle domande, eccezioni e prove. Inoltre si procede con una semplificazione della fase decisoria, anche con una stabilizzazione delle innovazioni telematiche introdotte durante l’emergenza Covid-19. Interventi anche sul giudizio di primo grado, con una rideterminazione in aumento della competenza del giudice di pace e con una riduzione dei casi in cui il tribunale opera in composizione collegiale. I decreti prevedono, infine, una compiuta e sistematica regolamentazione dell’ufficio per il processo, istituito per sostenere gli uffici giudiziari ad abbattere il carico e l’arretrato.

Passato con successo l’ostacolo della giustizia civile, materia ad alto tasso tecnico, il futuro della riforma penale, materia da sempre oggetto di scontro ideologico fra i partiti, resta a tinte fosche. L’approdo in Consiglio dei ministri dei decreti attuativi (la cui delega scade il 19 ottobre) è previsto per la prossima settimana ma, come sottolineato ieri su queste pagine, ormai l’accordo fra i partiti è del tutto saltato. Se Partito democratico e Forza Italia mantengono posizioni responsabili, Lega e Movimento 5 stelle non sono più disponibili ad accettare compromessi su alcuni temi chiave, come l’accesso alle pene alternative al carcere per le condanne sotto i quattro anni, la definizione dei criteri dell’azione penale, la giustizia riparativa. 

Tutto ciò significa che il tentativo di approvare un testo condiviso in Cdm la prossima settimana è destinato a fallire, a meno che dal ministero della Giustizia non decidano di escludere dai decreti le norme più criticate da leghisti e grillini, con il rischio però di svuotare la riforma di parti importanti. Fonti consultate dal Foglio, smentiscono questa ipotesi: Cartabia e il suo entourage sembrano intenzionati ad andare dritti per la propria strada, senza tanto badare alle rimostranze di Lega e M5s. Se confermata, sarebbe l’ennesima prova della debole sensibilità politica mostrata fino a oggi dalla Guardasigilli e dai suoi consulenti tecnici – magistrati, stimati docenti universitari e funzionari – attorno alla riforma penale, la stessa che ha impedito negli ultimi tre mesi al ministero di accelerare sulla scrittura dei decreti quando ormai le tensioni nella maggioranza di governo, prima della loro deflagrazione, si facevano sempre più evidenti. 

Non una novità, ma la conferma della difficoltà della “classe tecnica” chiamata a governare, abituata al passo lento dello studio, dell’analisi e della riflessione, di comprendere la politica, le sue mediazioni, e di stare al passo con i suoi tempi e i suoi improvvisi stravolgimenti, con le sue regole e le sue sregolatezze. Così, mentre i consiglieri della Guardasigilli mostrano calma e ottimismo,  in aula alla Camera va in scena una bagarre senza senso al grido di “Lamorgese! Lamorgese!”. Due mondi a parte.  

Qualora fosse confermata l’intenzione della ministra Cartabia di evitare un passaggio preliminare dalle parti di Lega e M5s prima del Cdm, l’unica strada percorribile resterebbe l’approvazione dei decreti attuativi a maggioranza. Una forzatura non da poco per un governo dimissionario, tanto più su un tema così delicato che molto probabilmente spingerebbe i gialloverdi alle barricate. 

Approvati a maggioranza, i decreti sarebbero poi inviati alle commissioni parlamentari competenti per ottenere un parere non vincolante entro sessanta giorni. Ciò significa che in caso di melina da parte dei partiti, la scadenza cadrebbe dopo le elezioni del 25 settembre. Le commissioni resterebbero in carica, visto che la convocazione delle nuove Camere è prevista per il 13 ottobre, ma in caso venissero avanzate profonde richieste di modifica dei decreti, il governo uscente non potrebbe non tenerne conto.