Il segretario della Lega denuncia "la lobby del silenzio" attorno alla consultazione referendaria, ma è il primo a farne parte: per mesi non ha proferito parola e continua pure ad alimentare il giustizialismo
Leader (anziché follower) si nasce e Salvini, tristemente, non lo nacque. Non si può spiegare altrimenti la schizofrenia mostrata dal segretario della Lega attorno ai cinque referendum sulla giustizia, previsti il prossimo 12 giugno. La scorsa estate, l’ex ministro dell’Interno mobilitò l’intero partito per supportare la raccolta firme con i Radicali, tempestando quotidianamente gli organi di informazione e i social network con appelli in favore di una giustizia giusta. A tutto ciò si accompagnò un bollettino costante sull’andamento delle adesioni (“Già raccolte 100 mila firme”, “superate le 200 mila firme”). Dopo lo scandalo Palamara, lo spirito anti-toghe animava l’opinione pubblica e il segretario della Lega decise di seguire l’onda, scoprendosi improvvisamente garantista. A Ferragosto, annunciò il raggiungimento di 500 mila firme e l’intenzione di arrivare al milione per ciascun quesito.
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