Foto Francesco Ammendola/Ufficio Stampa Quirinale/LaPresse 23 marzo 2021 Roma 

La presunzione di innocenza infilata nel water. Il caso Cascini (Csm)

Ermes Antonucci

Le dichiarazioni del componente togato del Consiglio superiore della magistratura è assurdo che non abbiano suscitato alcuna reazione nel mondo politico

“Un fucile puntato sui pm”. Con queste parole Giuseppe Cascini, componente togato del Consiglio superiore della magistratura, appartenente alla corrente di sinistra Area, ha criticato alcune norme contenute nella riforma dello stesso Csm e dell’ordinamento giudiziario elaborata dalla Guardasigilli Marta Cartabia. Parole a dir poco fuori luogo, se non indecenti, soprattutto perché espresse in un paese che nel corso della sua storia ha tristemente assistito all’uccisione di decine di rappresentanti della magistratura sotto i colpi di pistole e di bombe. Eppure, le dichiarazioni di Cascini non hanno suscitato alcuna reazione nel mondo politico e istituzionale, anzi sono state evocate con entusiasmo da quegli organi di informazione impegnati da tempo nell’opera di affossamento della riforma Cartabia.

 
Ma a cosa si riferiva Cascini? A una norma che mette in pericolo la vita dei magistrati? A una disposizione che cancella l’autonomia e l’indipendenza dei pubblici ministeri? Niente di tutto questo. Il consigliere del Csm ha criticato l’introduzione di illeciti disciplinari per i pubblici ministeri che violano la nuova disciplina in materia di rapporti con la stampa, introdotta di recente in attuazione della direttiva sulla presunzione di innocenza. La disciplina mira ad attenuare il fenomeno della gogna mediatico-giudiziaria, prevedendo che le procure – tramite i capi degli uffici o pm delegati – possano comunicare ai giornalisti informazioni sulle indagini solo se sussiste un “interesse pubblico”, principalmente attraverso comunicati ufficiali (le conferenze stampa possono essere convocate solo “nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti”) e assicurando il diritto dell’indagato e dell’imputato a non essere indicati come colpevoli fino a sentenza definitiva. 


Risulta logico a chiunque che all’introduzione di queste norme debba conseguire l’introduzione di altre norme che puniscano i magistrati che le violano. Tutto ciò non va giù a Cascini, che al plenum del Csm ha parlato di “un fucile puntato su tutti i magistrati del pubblico ministero, in particolare sul procuratore della Repubblica, costantemente suscettibile di finire sotto azione disciplinare”, e ha richiamato l’attenzione sulle gravi conseguenze che ciò potrebbe determinare “dal punto di vista del diritto all'informazione e dell'autonomia e indipendenza dei pubblici ministeri”. In serata il ministero della giustizia si è pure scomodato per rispondere alle critiche, spiegando che “già prima della riforma c’erano divieti e sanzioni per il pm che facesse dichiarazioni senza un’autorizzazione del procuratore”. Ora, “poiché ci sono delle regole anche per le comunicazioni del procuratore, si rende la norma omogenea con quanto già esisteva, con sanzioni anche se si viola la legge sulla presunzione di innocenza”.


La replica di Via Arenula ribadisce, senza volerlo, il pericolo principale a cui va incontro la disciplina sulla presunzione di innocenza, e cioè che a vigilare sul rispetto delle norme dovranno essere gli stessi soggetti (i magistrati) chiamati ad applicarle. Basti considerare che, già prima della riforma, la legge attribuiva (inutilmente) al solo procuratore, oppure a un magistrato delegato, il mantenimento dei contatti con i mass media.
Dunque, come sempre ciò che in realtà i magistrati temono è essere giudicati, seppur sul piano disciplinare. D’altronde, in un paese normale anche l’accusa mossa da Cascini al governo di aver puntato “un fucile sui pm” avrebbe probabilmente condotto a un procedimento disciplinare nei confronti del magistrato. Ma, come si sa, questo non è un paese normale. 

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