Francesco Greco (Ansa)

Il cul de sac

L'archiviazione di Greco conferma le anomalie nel caso Eni

Ermes Antonucci

La decisione del gip di Brescia sulla vicenda “loggia Ungheria" dimostra ancora una volta la gestione opaca di Amara nel processo Opl-245 

Un’archiviazione che scagiona l’ex procuratore di Milano Francesco Greco dalla vicenda “loggia Ungheria”, ma che non cancella alcune anomalie avvenute nel processo flop Eni-Nigeria. Così si può riassumere la decisione del gip di Brescia di archiviare l’indagine nei confronti di Greco per omissione di atti d’ufficio per il caso dei verbali dell’avvocato Piero Amara sulla fantomatica loggia Ungheria. L’indagine era stata aperta in seguito alle dichiarazioni rese ai pm bresciani dal sostituto procuratore milanese Paolo Storari, il quale raccolse con la collega Laura Pedio le rivelazioni di Amara sulla loggia, per poi denunciare la presunta inerzia praticata dai suoi superiori (Greco e, appunto, l’aggiunto Pedio) nella gestione del fascicolo di indagine. Una scelta, secondo Storari, dettata dalla necessità della procura di tutelare l’attendibilità di Amara e Vincenzo Armanna, grande accusatore di Eni nel processo allora in corso sulla presunta corruzione in Nigeria, poi finito con l’assoluzione di tutti gli imputati.

 


Nell’aprile 2020 Storari giunse a consegnare all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo i verbali secretati degli interrogatori resi da Amara, con lo scopo di tutelarsi dall’inerzia della procura. Dalla consegna sarebbe poi derivata una fuga di notizie sull’indagine, per la quale ora proprio Storari e Davigo risultano indagati a Brescia per rivelazione di segreto d’ufficio. Il provvedimento di archiviazione del gip bresciano Andrea Gaboardi scagiona Greco dall’accusa di aver rallentato le indagini sulla presunta “loggia Ungheria”, non solo perché fu lui a proporre di iscrivere i primi nomi sul registro degli indagati (tra cui lo stesso Amara, che Storari aveva “inspiegabilmente” escluso dall’iscrizione), ma anche perché l’ufficio svolse fin dall’inizio diverse attività preliminari di riscontro delle dichiarazioni di Amara.

 

Se ci sono state cautele sull’iscrizione di soggetti sul registro degli indagati, questo è soltanto perché nei reati associativi, spiega il giudice citando la Cassazione, i tempi per definire la notizia criminis sono più elastici rispetto ad altre fattispecie. In altre parole, non era pensabile procedere immediatamente all’iscrizione di tutti i soggetti nominati da Amara (peraltro oggi definito dal giudice “totalmente inattendibile”), in assenza di riscontri alle dichiarazioni di quest’ultimo. Su questa strada sembrava invece volersi muovere proprio Storari, che proponeva subito l’iscrizione tra gli indagati per violazione della legge Anselmi di autorevoli personalità citate da Amara nei suoi interrogatori, come l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti e l’ex presidente del Consiglio di Stato e ora giudice della Corte costituzionale Filippo Patroni Griffi.

 

Come se bastassero semplici sospetti, privi di riscontri, per mettere sotto indagine qualcuno (con conseguente prevedibile sputtanamento mediatico). Così, si comprende maggiormente anche la critica mossa dal gip alle testimonianze rese da Davigo (al quale, scrive il giudice, Storari poi consegnò in maniera “improvvida” i verbali): “Contrariamente a quanto sostenuto in via solitaria e con sbrigativa sicurezza dal consigliere Davigo, tale era la consistenza dell’impegno richiesto dal vaglio critico delle propalazioni accusatorie (per vero piuttosto anodine) dell’avvocato Amara nei citati interrogatori, il cui complessivo contenuto si sostanziava ancora in meri elementi di sospetto, da valutare peraltro con un approccio ispirato alla massima prudenza”. 

 

Sulla vicenda Ungheria, insomma, Greco ha agito con la giusta cautela. Tra le righe del provvedimento di archiviazione, però, si rintraccia un paradosso. L’ex capo della procura di Milano non sembra infatti aver dimostrato la stessa cautela in occasione del processo Eni-Nigeria. Fu proprio Greco infatti, con l’aggiunto Pedio, a fine gennaio 2020, in pieno dibattimento del processo contro il colosso petrolifero, a trasmettere alla procura di Brescia un verbale in cui lo stesso Amara faceva riferimento a presunte “interferenze delle difese Eni” sul giudice Marco Tremolada, presidente del collegio giudicante che poi avrebbe assolto tutti gli imputati accusati dalla procura.

 

Un atto piuttosto grave attraverso cui, a detta del tribunale, l’accusa tentò di mettere in dubbio “il carattere di terzietà” del collegio di giudici. Un atto ben noto a Storari, che infatti, in un’e-mail inviata a Greco e citata nel provvedimento di archiviazione, motivava così la sua fretta di procedere all’iscrizione sul registro degli indagati dei soggetti nominati da Amara sulla vicenda Ungheria: “Si tratta di una valutazione che credo tu condivida, anche perché si è proceduto a trasmettere alla procura di Brescia le dichiarazioni di Amara concernenti il collega Tremolada, pur trattandosi di un de relato di secondo grado”. Insomma, si sarà chiesto Storari, se pur di far condannare Eni non si è usato un briciolo di cautela nel maneggiare i verbali di Amara, perché farlo con i verbali di Amara sulla loggia Ungheria? Una domanda che rimane ancora senza risposta. 
 

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