Marta Cartabia e Sergio Mattarella (Ansa)

L'impatto sulla giustizia del bis di Mattarella. Con vista Csm

Ermes Antonucci

La conclusione della partita quirinalizia scongela i dossier più caldi sul tavolo del governo Draghi rimasti in stand-by, primo fra tutti quello sulla riforma elettorale del Consiglio superiore della magistratura e dell’ordinamento giudiziario

La conclusione della partita quirinalizia, con la conferma di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica, scongela i dossier più caldi sul tavolo del governo Draghi rimasti in stand-by in queste settimane, primo fra tutti quello sulla riforma elettorale del Consiglio superiore della magistratura e dell’ordinamento giudiziario. Del resto toccherà proprio a Mattarella presiedere nuovamente il Csm, un organo travolto da scandali correntizi e da una crisi di credibilità senza precedenti, e di cui più volte lui stesso ha invocato una riforma radicale, perlomeno del meccanismo elettorale (per una riforma strutturale dell’organo occorrerebbe una modifica della Costituzione, al momento impensabile).

 

L’ultimo appello è giunto lo scorso novembre, quando Mattarella al decennale della Scuola superiore della magistratura ha sollecitato di nuovo governo e parlamento ad approvare una riforma del Csm “non più rinviabile”, che “sappia sradicare accordi e prassi elusive di norme che, poste a tutela della competizione elettorale, sono state talvolta utilizzate per aggirare le finalità della legge”. Le preoccupazioni del presidente della Repubblica, all’epoca convinto di dover passare il testimone a breve, sono legate anche alla circostanza che il Csm dovrà essere rinnovato tra luglio e settembre e che “non si può accettare il rischio di doverne indire le elezioni con vecchie regole e con sistemi ritenuti da ogni parte come insostenibili”.

 

Ora che la scelta per il Mattarella-bis è stata compiuta, la ministra della Giustizia Marta Cartabia, per lungo tempo tra i papabili per il Quirinale, sarebbe pronta a presentare le tanto attese proposte di riforma del sistema elettorale del Csm. Secondo le ultime indiscrezioni, le proposte andrebbero in direzione di un sistema maggioritario binominale, con collegi medio-piccoli e la garanzia della parità di genere. Possibile anche l’aumento dei consiglieri togati da 16 a 20 e dei membri laici da 8 a 10. Esclusa, dunque, l’adozione del meccanismo del sorteggio per l’elezione dei membri togati del Csm, la proposta più estrema avanzata da diverse parti per mettere fine una volta per tutte alle degenerazioni delle correnti (il meccanismo del sorteggio sarebbe previsto solo in via residuale, nel caso in cui non ci dovessero essere sufficienti candidature nei vari collegi). Per quanto riguarda le norme sull’ordinamento giudiziario, il pacchetto predisposto da Cartabia prevedrebbe il divieto di fare contemporaneamente il magistrato e ricoprire incarichi elettivi e politici, come invece è possibile oggi (si veda il caso Maresca), criteri più stringenti sulle “porte girevoli” tra politica e magistratura, e nuove regole per le procedure di conferimento degli incarichi direttivi e semi-direttivi degli uffici giudiziari (quelli finiti al centro dello scandalo Palamara) per consentire nomine basate su trasparenza, obiettività e merito.

 

I tempi, visto il previsto rinnovo del Csm in estate, appaiono strettissimi. Ma per Mattarella, che nel 2019 definì “sconcertante e inaccettabile” il quadro emerso dallo scandalo Palamara, sottolineando le “conseguenze gravemente negative per il prestigio e per l’autorevolezza” non solo del Csm ma dell’“intero ordine giudiziario”, la mancata approvazione di una riforma per l’elezione del Csm da parte delle forze politiche risulterebbe inaccettabile, soprattutto agli occhi dell’opinione pubblica (tanto che non è da escludere un’ennesima sollecitazione sul tema nel discorso di insediamento al Quirinale previsto giovedì).

 

La magistratura associata attende le mosse della politica, con i soliti toni polemici, ma stavolta con minor potere negoziale. Proprio mentre il parlamento in seduta comune procedeva alla rielezione di Mattarella, l’Associazione nazionale magistrati teneva giovedì e venerdì scorsi un referendum consultivo online tra gli iscritti proprio sul sistema elettorale del Csm. Il referendum si è rivelato un fallimento. Come previsto, le toghe alla fine hanno detto no sia al sorteggio che al sistema maggioritario per eleggere il Csm, ma il vero dato politico è un altro, e duplice. Primo: quasi la metà dei magistrati aventi diritto al voto (circa 4 mila su 8 mila) ha deciso di non partecipare al referendum, segnalando una crisi di legittimazione dell’Anm ormai irreversibile. Secondo: il 42 per cento dei magistrati votanti ha detto sì al sorteggio temperato dei candidati al Csm. Insomma, persino tra le toghe il sorteggio non sembra poi così male.
 

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