Nel caso Amara c'è la farsa dell'obbligatorietà dell'azione penale

Gian Domenico Caiazza

Alcune bufale vanno chiarite appieno - vedi caso Eni, Palamara...-, altre finiscono in Ungheria: ce lo spieghi lei il criterio, dottor Storari

Se basta una bufala come quella della Loggia Ungheria o come diavolo si chiama per scatenare l’ennesimo putiferio nei vertici istituzionali e politici della magistratura italiana, occorre ci si renda conto che la situazione è drammaticamente seria. Qui non dobbiamo interrogarci sulla presunta composizione di quella presunta consorteria – i fratelli Vanzina l’avrebbero concepita certamente meglio – quanto sul come, il chi e il perché dell’innesco di questa ennesima notte dei lunghi coltelli. Io rinuncio, non è nelle mie corde, altri sapranno sbizzarrirsi. A me interessa tirare qualche filo, come sempre si dovrebbe, che ci porti a comprendere le ragioni sistemiche di questa crisi rovinosa della magistratura italiana.

 

Per esempio: quando il pm Storari lamenta che il suo procuratore capo Francesco Greco avrebbe messo il freno alle indagini su quelle dichiarazioni dello stesso avv. Amara invece valorizzato nelle indagini su ENI (e a Perugia contro il dott. Palamara, aggiungo io), ecco che siamo già dentro fino al collo nel tema del principio di obbligatorietà dell’azione penale e della ormai sistematica ed ipocrita sua violazione. Anche i sassi avranno ormai compreso che l’azione penale obbligatoria è da molti, troppi anni un cimelio costituzionale, più che un principio effettivamente vigente. La democrazia che nasceva dalle ceneri del fascismo ebbe bisogno di fissare nel proprio patto sociale un principio che garantisse eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Ma forse i padri costituenti non avevano ragione di prevedere lo sviluppo incontrollabile del pan-penalismo e la ipertrofia dell’esercizio dell’azione penale quale strumento regolatore della vita sociale, politica ed economica del paese.

 

 

Quindi si fa finta di aprire fascicoli a ogni vaga parvenza di un possibile reato, o peggio ancora alla ricerca di reati possibilmente commessi da Tizio o da Caio (con obiettivi in tale ultimo caso non sempre confessabili). Poi però, divenuta la baracca ingestibile, occorre scegliere quali fascicoli coltivare, e quali lasciar morire. Come? Per esempio lasciando prescrivere i reati che si sceglie di non perseguire (poi raccontano la balla che è colpa degli avvocati dei clienti ricchi: ma questo ormai giusto ancora Travaglio, Scanzi, Caselli e Davigo, poveri!). E chi la fa questa scelta? Ma perbacco, le Procure stesse, che domande. Si tratta necessariamente, intrinsecamente -come spiegava Zagrebelsky già 30 anni fa- di una scelta politica, ed in un sistema democratico le scelte politiche spettano a chi ne risponderà al corpo elettorale, ai cittadini.

 

 

A chi ne rispondono i Pubblici Ministeri, di quelle scelte discrezionali? Ma a nessuno, suvvia! Non vorrete mica oltraggiare l’autonomia e l’indipendenza e bla bla bla? La magistratura in questo Paese non risponde di nulla, di nessun proprio atto: di ciò che sceglie o non sceglie di perseguire, del come e del quando, e del risultato poi delle proprie scelte. Un potere immenso, uno squilibrio istituzionale e democratico senza eguali nel mondo. Ecco un tema di discussione seria che dovrebbe essere sollecitato da questa oscura e brutta storiaccia: rimettere mano al principio di obbligatorietà dell’azione penale, rendere trasparenti i criteri di un suo temperamento, se non di una vera e propria discrezionalità, affidandoli comunque alla legge, dunque al Parlamento, non all’arbitrio insindacabile ed inespugnabile delle Procure. Invece, ci trastulliamo con Davigo e la sua segretaria (che pure qualche chiarimento dovranno darlo, beninteso).

 

 

Dunque, e per concludere: con chi se la prende il dott. Storari? Dove sta scritto, in quale regola a noi ignota, che il dott. Greco avrebbe dovuto approfondire, e non lo ha fatto? Chi lo stabilisce? Forse quel sostituto procuratore, per ragioni che al momento ci sfuggono, sta assaggiando per la prima volta la sgradevolezza dei morsi di quello stesso arbitrio che ha fino ad oggi certamente praticato come qualsiasi altro P.M. in Italia. Ho letto che in una certa chat tra magistrati, dopo l’assoluzione ENI, proprio il dott. Storari scriveva a Greco: “non prenderci in giro, Francesco!”. Beh, mi sentirei di rivoltarla contro di lui, ora. Non ci prenda in giro nemmeno Lei, dottore, e ci racconti per bene questa storia: quella vera però.