(Lapresse)

Cosa direbbe Davigo se il Pm dei verbali di Amara non fosse Davigo

Ermes Antonucci

La consegna al celebre giudice dei verbali del caso Amara da parte del pm Paolo Storari? Una visita di cortesia, nessun bisogno di interpellare formalmente il Csm

Una nuova bufera sta travolgendo il Consiglio superiore della magistratura, dopo lo scandalo sulle nomine pilotate esploso nel 2019 che costrinse alle dimissioni ben sei componenti dell’organo di autogoverno delle toghe. E stavolta a finire nell’occhio del ciclone è uno dei simboli della storia della magistratura italiana: Piercamillo Davigo, ex pm di Mani pulite, già magistrato di Cassazione e presidente dell’Anm, consigliere del Csm fino all’ottobre dello scorso anno, quando è stato dichiarato decaduto dalla carica per raggiunti limiti di età.


La vicenda è incentrata sulle ormai famigerate dichiarazioni rilasciate ai magistrati della procura di Milano dall’avvocato Piero Amara, arrestato nel 2018 e poi condannato per vari episodi di corruzione di giudici. Dopo il suo arresto, Amara annuncia di voler collaborare con la giustizia e nel dicembre 2019 viene interrogato a Milano da due magistrati, Paolo Storari e Laura Pedio. Nel corso dell’interrogatorio, Amara lancia una serie di accuse – dalla dubbia attendibilità – nei confronti di politici, imprenditori, magistrati, alti ufficiali delle forze dell’ordine. Tira in ballo l’allora premier Giuseppe Conte, sostenendo di averlo raccomandato per alcune consulenze, e poi rivela l’esistenza di una fantomatica loggia massonica denominata “Ungheria”, di cui farebbero parte numerosi magistrati, tra cui l’ex consigliere del Csm Sebastiano Ardita (fondatore nel 2015, insieme a Davigo, della corrente “Autonomia e Indipendenza”). E’ a questo punto che accadono almeno tre fatti “irrituali”.

 


Primo: nell’aprile 2020, il pm Paolo Storari si reca a Roma e incontra il consigliere Davigo per consegnargli i verbali coperti da segreto. Storari avrebbe compiuto questa scelta con lo scopo di proteggersi dai comportamenti dei vertici della procura che riteneva non corretti. Il capo della procura di Milano, Francesco Greco, in una prima fase avrebbe infatti preferito attendere prima di svolgere accertamenti formali sulle rivelazioni di Amara.

 

Secondo fatto irrituale: Davigo accetta da Storari la copia dei verbali (segreti) degli interrogatori di Amara, nonostante la consegna dei documenti possa prefigurare una violazione del segreto investigativo. Interpellato dal Corriere, Davigo ha risposto che “il segreto non è opponibile ai componenti del Csm”, spiegando di aver “subito informato chi di dovere”, senza però chiarire né chi né su cosa (il particolare comportamento di Storari o il contenuto dei verbali?).   


A ottobre, in coincidenza con l’uscita di Davigo dal Csm, accade il terzo fatto irrituale: i verbali, coperti da segreto, cominciano a essere recapitati in forma anonima ad alcuni giornalisti e anche al consigliere Nino Di Matteo (che denuncia in procura). Vista la mancanza di riscontri alle accuse, i giornalisti decidono di non dare spazio al misterioso materiale e di denunciare tutto in procura. Dopo le denunce la Guardia di Finanza si muove e identifica quella che ritengono essere il “corvo”: una funzionaria storica del Csm, fino a poco tempo prima impiegata nella segreteria proprio di Davigo, ora iscritta nel registro degli indagati dai pm di Roma.

 

Nelle ultime ore, Davigo ha ribadito che nella consegna dei verbali da parte di Storari “non c’è stato nulla di irrituale”, dal momento che il pm milanese si rivolse a lui come “consigliere del Csm che conosceva”. Non è chiaro, tuttavia, il motivo per cui Storari si sia rivolto a Davigo in forma privata, consegnando atti segreti, piuttosto che interpellare ufficialmente il Csm. Ciò che è certo è che stavolta nella bufera ci è finito proprio lui, Davigo, il grande moralizzatore della vita pubblica del Paese.
 

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