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Il Covid è finito, tutti in carcere

David Allegranti

Il Dap sospende la circolare del 21 marzo. Il filosofo del diritto Santoro: “Un pessimo segnale. Le direzioni hanno sempre il dovere di tutelare la salute dei detenuti”

Roma. La nuova direzione del Dap ha sospeso la circolare del 21 marzo che chiedeva ai direttori dei penitenziari italiani di indicare, per contrastare il contagio nelle carceri, i nomi dei detenuti con più di 70 anni affetti da patologie. Motivo? “Il numero dei ristretti positivi al Covid-19, pari oggi a 66 persone su poco più di 53mila detenuti, è in costante diminuzione”, dicono i nuovi vertici del Dap, il capo Bernardo Petralia e il vice Roberto Tartaglia, e “negli istituti penitenziari risultano in atto protocolli di prevenzione del rischio di diffusione del contagio”. 

 

Per Emilio Santoro, filosofo del diritto, si tratta di un “pessimo segnale” della nuova direzione. “La circolare – dice Santoro al Foglio – non faceva che ricordare, in un momento particolare per la tutela della salute, un dovere che le direzioni hanno sempre: quello della tutela della salute dei detenuti. Che le direzioni debbano sottoporre ai magistrati di sorveglianza i rischi per la salute delle persone affidate alla loro cura (oltre che controllo) è un dato certo nell’ordinamento. Se non lo facessero ne deriverebbe una violazione dell’articolo 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo (che proibisce la tortura e i trattamenti inumani e degradanti) e una responsabilità da contatto sociale secondo la normativa nazionale”.

 

Entrambe le cose, aggiunge Santoro, “se fatte valere giudizialmente costerebbero parecchie migliaia di euro allo Stato e sarebbe legittimo che questo chiamasse i direttori che non hanno fatto le segnalazione a rispondere del danno erariale. La revoca della circolare è un pessimo segnale della nuova direzione del Dap. Sembra dire ai direttori non vi dovete preoccupare del diritto, che la costituzione considera fondamentalissimo, alla salute delle persone che vi sono state affidate, lasciate che siano loro a fare le istanze, cosa che con i tempi non brevissimi che queste prevedono può recare un danno irreparabile alla salute dei detenuti e compromettere anche la loro vita”. 

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  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.