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Non si scherza con la separazione dei poteri

Claudio Cerasa

La passerella dei pm di Bergamo a Palazzo Chigi, il gran tifo per la procura e le nuove anomalie del circo mediatico. Perché la discrezionalità del potere giudiziario deve finire lì dove inizia la discrezionalità del potere esecutivo

Che cosa succede quando un paese accetta il principio che un magistrato possa mettere in discussione la discrezionalità delle scelte politiche di un governo? L’anomalia vera della sfilata che mezza procura di Bergamo ha concesso di fronte a Palazzo Chigi ai fotografi di mezza Italia – un ex ministro della Giustizia ha confidato al Foglio di non aver mai visto in vita sua una scena del genere – non è tanto da rintracciare nell’arrivo dei pm nelle stanze del governo ma è da rintracciare piuttosto in una serie di anomalie parallele che ha fatto da corredo alle audizioni organizzate dal procuratore Maria Cristina Rota del premier Giuseppe Conte e dei ministri Roberto Speranza e Luciana Lamorgese.

 

La storia la conoscete: Conte, Speranza e Lamorgese sono stati sentiti come persone informate dei fatti nell’ambito dell’inchiesta sulla mancata istituzione della “zona rossa” a Nembro e Alzano Lombardo, due comuni della Val Seriana, in provincia di Bergamo. L’inchiesta, come sappiamo, è ancora senza indagati e senza ipotesi di reato, ma le scene osservate durante il pomeriggio di colloqui a Palazzo Chigi hanno avuto l’effetto di rimettere in fila una serie di caratteristiche del circo mediatico-giudiziario che merita di essere illuminata alla luce di una domanda importante: che paese è quel paese che non capisce che la discrezionalità del potere giudiziario dovrebbe finire lì dove inizia la discrezionalità del potere esecutivo? Proviamo a riavvolgere il nastro e mettiamo in fila i punti.

 

Una prima anomalia, a voler cominciare, è legata al fatto che in Italia nessuno considera ormai più un’anomalia una circostanza piuttosto curiosa che si è verificata negli scorsi giorni, quando il pm di Bergamo, poco prima di sbarcare a Palazzo Chigi, aveva scelto di anticipare in televisione, in un’intervista al Tg3, alcuni punti della sua indagine in corso, sostenendo, rispetto al tema della zona rossa, che “da quel che ci risulta si è trattato di una decisione governativa”. Una circostanza curiosa non solo per il fatto che un magistrato dovrebbe conoscere la differenza tra un pm, che accusa, e un giudice, che emette giudizi, ma anche perché in Italia esiste una legge – riforma sanitaria n. 883 del 1978 – che attribuisce analogo potere di stabilire zone rosse tanto alle regioni quanto al ministero della Salute. E se il pm fosse davvero convinto che la responsabilità di non aver creato a tempo debito una zona rossa – cosa che per esempio hanno fatto in modo autonomo durante il picco pandemico diverse regioni italiane, dal Lazio alla Campania fino alla stessa Lombardia – sia solo del governo avrebbe forse dovuto evitare di emettere un giudizio sulla base di un semplice sospetto. Un’anomalia ulteriore, se vogliamo, è quella segnalata dal professor Stefano Ceccanti, che ha ricordato che qualora la procura di Bergamo dovesse individuare una qualche tipologia di reato ministeriale dovrebbe disinteressarsi dell’indagine e dovrebbe trasmettere ogni sua richiesta al Tribunale dei ministri, sulla base della legge costituzionale 1/1989. In verità, i pm di Bergamo, andando a Palazzo Chigi, non hanno fatto altro che seguire un protocollo previsto dal codice di procedura penale, articolo 205, che prevede la possibilità, da parte del presidente del Consiglio, di essere esaminato nella sede in cui esercita il proprio ufficio. E per questo, di fronte alla sfilata, ciò che conta di più non è quello che è successo a Palazzo Chigi ma è quello che succederà a partire da oggi, che ci dirà molto su un’altra grande anomalia del paese: l’incapacità da parte dell’opinione pubblica di difendere con gli artigli il principio della separazione dei poteri. Se i pm, facendo leva magari su una tipologia di reato molto fumosa e molto discrezionale come l’omesso impedimento di un evento, individueranno una qualche forma di ipotesi di reato a carico degli alti rappresentanti del governo dovranno sfuggire dalla tentazione di trasformare quell’eventualità in un’occasione di notorietà – di procura di Trani ce n’è una e una basta e avanza – e dovranno affidare tutto al Tribunale dei ministri.

  

Ma se un’eventualità del genere si dovesse verificare sarà interessante capire se l’Italia abbia o no gli anticorpi necessari per mettere in luce un problema mica da poco sollevato su queste colonne da Cristiano Cupelli, docente di Diritto penale all’Università di Roma Tor Vergata. E il problema è questo: è legittimo oppure no configurare responsabilità penali nei confronti di scelte politiche discrezionali, assunte tra l’altro in un momento di assoluta incertezza, e si può restare o no indifferenti rispetto alla possibilità che il potere giudiziario sia legittimato a sindacare sulle legittimità delle scelte del potere esecutivo, in assenza di una qualche forma di dolo o di colpa grave da parte dello stesso potere? “C’è un dovere da parte nostra di rendere giustizia”, ha detto il pm di Bergamo nella famosa intervista rilasciata il 29 maggio al Tg3. E rispetto a questa osservazione è facile immaginare che ci sarà un pezzo d’Italia eccitato dall’idea che i magistrati debbano fare di tutto per rendere giustizia mentre un altro pezzo d’Italia, temiamo piccolo, avrà forse la nostra stessa impressione: ma i magistrati che con disinvoltura aprono indagini per cercare reati, partendo non da prove ma da sospetti, sono magistrati che la corrida giudiziaria la stanno alimentando oppure la stanno combattendo? I procuratori di Bergamo offriranno certamente elementi utili a dimostrare che la procura di Bergamo non è la procura di Trani. Ma a leggere tra le righe delle reazioni di queste ore, immaginando anche il modo in cui gli avversari del governo speculeranno sulla presenza dei pm a Palazzo Chigi, la domanda da cui siamo partiti resta purtroppo ancora inevasa: che paese è quel paese che non capisce che la discrezionalità del potere giudiziario dovrebbe finire lì dove inizia la discrezionalità del potere esecutivo?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.