Il desiderio urlato e disperatamente sofferto di Antonio Tiberi, campione del mondo

A Harrogate l'italiano vince la prova a cronometro dei Mondiali di ciclismo categoria Junior nonostante un problema alla bicicletta nei primi metri di corsa

Giovanni Battistuzzi

Voglio…voglio…voglio..un desiderio urlato / e disperatamente sofferto / che conduce all’Infinito!”. E poco importa se l'amore fisico non c'entra in questo caso, non almeno quello di Gabriele D'Annunzio cantato in “Sopra un erotik”. E poco importa se non c'è donna in questa storia, se non è rapporto ma al massimo rapporto, se non c'è carne ma al massimo carbonio, se non c'è “quel seno”, ma al massimo gambe, se non c'è “un letto di porpora”, ma soltanto strade. Quel desiderio urlato e disperatamente sofferto è lo stesso. E la stessa è la conclusione, l'infinito. Anche se è un infinito relativo e di tessuto, anche se è un infinito iridato, come un maglia, come una maglia di campione del mondo. Il desiderio urlato e disperatamente sofferto di Antonio Tiberi, quello messo in scena oggi lungo i 27 chilometri e seicento metri del trapezio sghembo di Harrogate, Gran Bretagna, quello percorso più veloce di tutti, che lo ha condotto sul gradino più alto del podio della prova a cronometro dei campionati del mondo di ciclismo, categoria Junior.

 

Primo, ma per convinzione, per capacità di non abbattersi, per testardaggine e voglia di conquistare ciò che sembrava perso, svanito, rotto. Primo, nonostante tutto fosse già compromesso dopo pochi metri dal via, quando giù dalla pedana di partenza il pedale (o il movimento centrale) della bici non va come dovrebbe, anzi non va proprio.

 

 

Sfiga, sfortuna, scalogna, disdetta. Un termine qualsiasi tra questi potrebbe essere una buona scelta per giustificare qualsiasi risultato, per tirare i remi in barca, lasciarsi trasportare dalla commiserazione. Antonio Tiberi però non aveva la minima intenzione di giustificarsi, non aveva nessuna voglia di abbandonarsi al rimpianto. E così ha cambiato bici, si è rimesso in sella, ha ripreso dalle idee che aveva in testa, anzi dall'unica idea buona da inseguire: fregarsene di tutto, non pensare ad altro che menare il più forte e il più a lungo possibile sui pedali.

 

Lo ha fatto per trentotto minuti, lo ha fatto a oltre quarantaquattro all'ora e forse anche di più (la media registrata all'arrivo è di 43.050 km/h). Lo ha fatto giusto per non aver nulla da rimpiangere, perché la sfiga, la sfortuna, la scalogna, la disdetta altro non sono che una forma di cautela per non stare troppo a pensare agli inciampi della determinazione, alla incapacità di urlare disperatamente “Voglio…voglio…voglio..” per arrivare “all’Infinito!”.