Foto tratta dal profilo Facebook della corsa

Lo sterrato non è per tutti. Spunti per l'Herald Sun Tour dall'Eroica e dalla Strade Bianche

Giovanni Battistuzzi

Oggi la corsa a tappe australiana ha improvvisato un passaggio tra sabbia e ghiaia: hanno dovuto neutralizzare la corsa

L'Herald Sun Tour è corsa di tradizione antica, almeno per i luoghi nei quali si corre: stato di Victoria, estremo sud dell'Australia. Sessantaquattro edizioni disputate, sessantacinque con quella in corso, debutto nel 1952 e primo successo di Keith Rowley, un bel ciuffo leccato di brillantina, un sorriso furbo, almeno un centinaio di modelle da premiazione sedotte in una carriera che lo ha visto vincitore per una ventina di volte su strada e in un imprecisato numero su pista. Ma sei i dati dei successi sportivi sono certi, quelli amatori sono per lo più leggenda, alla quale non si è mai sottratto, ridendone. Keith Rowley in Europa ha corso pochissimo, qualche riunione in pista e niente più, ma in Australia era stato un idolo di quello che era pionierismo ciclistico.

 

L'Herald Sun Tour dopo Rowley è stato territorio di conquista prevalentemente per corridori australiani, poi, all'inizio degli anni Ottanta – con l'allargamento dei palcoscenici del ciclismo professionistico –, ha iniziato a sedurre pure gli europei. Si è sempre corso tra gennaio e febbraio e il sole e il caldo della Virginia erano un buon richiamo, una ragione sufficiente per prendere un aereo e volare sopra il globo. Malcolm Elliott fu il primo straniero a vincere la breve corsa a tappe: era il 1985, trentatré anni fa. Due anni dopo Stefano Tomasini, speranza mai veramente sbocciata del ciclismo italiano – fu maglia Bianca al Giro d'Italia del 1988, quello della leggendaria cavalcata nella tormenta di neve del Passo Gavia –, fu il primo non anglofono a conquistare il successo finale. La comunità italiana festeggiò. Le cronache locali paragonarono la festa "pari a quella di una vittoria della Coppa del mondo di calcio".

 

L'edizione 2018 dell'Herald Sun Tour è iniziata mercoledì da Melbourne, con un cronoprologo di un chilometro e seicento metri, e si concluderà domenica a Kinglake con una frazione impegnativa di 152 chilometri e un bel po' di salita (in realtà una, ma lunga, per quanto pedalabile, da ripetere cinque volte). Al momento in testa alla classifica c'è Lasse Norman Hansen, talentuoso danese della Aqua Blue Sport. L'ultima tappa, quella corsa nella notte italiana, l'ha conquistata Mads Pedersen, altro danese, anche lui assai promettente, ma in forza alla Trek-Segafredo, l'ex formazione di Alberto Contador.

 

  

Non è stata la vittoria di Pedersen, per quanto prepotente e combattuta in uno sprint all'ultimo metro con Steele Von Hoff, però a rendere indimenticabile l'ultima tappa della corsa australiana. C'è voluto altro.

 

Mancavano cento chilometri all'arrivo quando le ruote del gruppo hanno incontrato una sorpresa. Sotto di loro l'asfalto si è trasformato in terra e in ghiaia. Nessun problema, si sarebbe portati a supporre, lo sterrato ormai è stato nuovamente sdoganato nel ciclismo, ci sono corse che ne hanno fatto un vanto, altre che lo ricercano per provare a rendersi epiche. Il punto è che nessuno era stato avvertito, se non con una rapida comunicazione via radio. E così il gruppo si è allungato, come sempre fa, l'Aqua Blue, la squadra del leader della classifica, si è messa in testa, la Trek ha provato a fare la selezione: i corridori si sono sparpagliati per la strada, tutti (o quasi) in piedi, fortunatamente. E' lì che la giuria di corsa ha deciso di neutralizzare la corsa: tutti fermi a fine sterrato e via di nuovo tutti assieme.

 

"Non era stato pianificato, non abbiamo mai pensato di inserire un tratto di sterrato, ma a causa dei lavori in corso sulla strada nella quale dovevano passare gli atleti, quel percorso ci è stato imposto: non c'erano altre strade percorribile e così è successo", ha spiegato a Cyclingnews l'organizzatore della corsa, John Trevorrow

 

"Era ghiaioso, non era certo come correre sull'asfalto, ma era uguale per tutti, non era un grosso problema. Se si pensa che facciamo la Strade Bianche che di chilometri di sterrato ne ha molti di più è strana la decisione della giuria", ha detto Pedersen, vincitore in ogni caso della tappa, ma che dal tratto di sterrato poteva avvantaggiarsi. Anche Hansen si è un po' risentito della decisione: d'altra parte era davanti e dietro la nube di polvere molti degli avversari per il successo finale si erano persi per strada.

 

L'organizzazione ha chiesto scusa a tutti. Poi, a microfoni spenti un membro della giuria fa uscire un "ci volevamo provare".

 

E qui sta il problema: quel "ci volevamo provare".

 

Pavé e sterrato sono scenari dove il "ci volevamo provare" non dovrebbe esistere. Sono terreni non pericolosi di per sé, ma diversi dall'asfalto, mondi differenti che vanno preparati e rispettati. Non si improvvisano. Prima L'Eroica, poi la Strade Bianche, infine i tratti di sterrato al Giro d'Italia sono eventi che prevedono un lavoro di mantenimento e cura di strade dimenticate (fortunatamente) dall'asfalto – così come i tratti di pavé delle Roubaix e del Fiandre – che non si improvvisa dal nulla. Dietro c'è una ricerca dei percorsi, un lavoro di sistemazione della terra e del ghiaino che prevede amore e tempo, che impone soprattutto una conoscenza di quello che si sta facendo.