Emil Cioran

Cioran e Sgalambro, la regressione suicida

Davide D'Alessandro

Nel libro di Salvatore Massimo Fazio c’è un abbandono definitivo ai due autori ai quali ha dedicato tutta la propria vita culturale. Pagine dai contorni accademici, aperto a intrecci e incontri che spaziano dalla nientificazione dell'esistente alla conclusione del complotto del colpo di teatro

Nel 2011 è uscito per i tipi di Cuecm (quarant’anni di pubblicazione al servizio delle università italiane) un libro abbastanza anomalo, un manuale, che di filosofia aveva la più audace e ardita azione violenta e provocatoria dell'autore: Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche. Novanta pagine che sviluppavano, sulla scia di pensatori come Manlio Sgalambro, Emil Cioran, Alberto Caraco e, paradosso, Melchor Cano, la pars destruens di Salvatore Massimo Fazio. Il libro poteva essere di circa cinquecento pagine, “fu Manlio Sgalambro a limarlo e a ridurlo a novanta... dopo litigammo”.

Sei anni prima, lo stesso autore scrisse L'albero di farafi o della sofferenza, e come appare da più parti, noto e leggendario fu un suo viaggio in treno (trema all'idea dell'aereo seppur costretto a prenderlo) per recarsi a Bologna invitato da Umberto Eco, che lo propose presso la sua cattedra di Estetica a Bologna. Fazio vi si recò, conobbe Eco e se ne andò in preda al panico. A distanza di cinque anni da Insonnie, invece, e dopo un silenzio che non vi è mai stato, il polemicissimo Fazio è tornato in pubblicazione con Bonfirraro, l'editore che stampa i suoi saggi e libri di inchiesta tramite Rubbettino e che annovera controverse figure tra i suoi scrittori, da Mauro Mellini a egli stesso.

Perché questo lungo cappello? Ho letto con particolare interesse il saggio Regressione suicida, dell'abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro. Discepolo del filosofo di Lentini, come appare nell'appendice dove vi sono riportati articoli riguardanti il rapporto tra Fazio e Sgalambro, e fondatore della corrente del nichilismo cognitivo, così come lo ha dichiarato e appellato Luigi Pulvirenti, la regressione suicida di Fazio è un abbandono definitivo ai due autori a cui ha dedicato tutta la propria vita culturale. Libro dai contorni accademici, differente pertanto da Insonnie,  aperto a intrecci e incontri che spaziano dalla nientificazione dell'esistente alla conclusione del complotto del “colpo di teatro”, tipico più in Sgalambro, che l'autore sembra aver tanto amato e poi detestato, al fine di riuscire a muovere qualcosa che sia sì antiaccademico, nel senso comune della locuzione negazionista delle università, ma scritto nella prospettiva, lo dicevamo prima, accademica che viene apprezzato nelle università e nelle scuole dagli addetti ai lavori.

“Il tutto - dichiara in una intervista - è stato prodotto per provocare alcuni fittizi maestrini che si sentono e si ergono a indiscussi cloni di filosofi esistenti o contemporanei, in sintesi, gli ho insegnato come si è filosofi e come si è storici della filosofia e poi come si è biechi bigotti”. Nel suo saggio, che da due anni viene accompagnato dall'autore in biblioteche, Fazio, dopo aver minuziosamente svestito i due outsider della filosofia, forse con un po' di presunzione (e qui si evince la “discepolanza” di Sgalambro), se ne libera, lanciandoli lì dove meritano, verso una regressione che faccia dimenticare al mondo l'inutilità di ciò che è il pensiero e l'anti pensiero contemporaneo.

Se con Cioran e Sgalambro si parla di modernità e post contemporaneità, in e con Fazio, specie nelle conclusioni e in un terzo capitolo, che a oggi non trova eguali tra filosofi o pseudo tali, per dirla alla Cateno Tempio (fondatore di Sitosophia) “ci troviamo a leggere come se per la prima volta ci approcciassimo a quei filosofi che ci hanno insegnato al liceo e poi all'università. Massimo Fazio è un polemista, perché non riesce a legare con molti della propria generazione filosofica, perché è figliolo di un ristoratore e perché non ama strisciare come biscia per farsi una foto con idoli: è lui idolo che ha creato già proselitismo, senza che lo stesso insegni a scuola o nelle università. Fazio è una bomba, come lo fu Cartesio, come lo fu Kant, come Nietzsche, è una persona che ha sviluppato una tesi dissacrante e dissacratoria che non permette ad alcuno di contrapporsi accademicamente, proprio perché per troppi anni è stato snobbato, sino a quando gli studenti hanno iniziato ad amarlo, casualmente, senza che lo si recensiva in testate nazionali o di nicchia... e ciò è merito del suo Insonnie. Con la regressione ha dimostrato che potrebbe dare lezioni a certuni che ostentano la propria conoscenza e nuovamente ha fatto subito un successo, tanto che è finito a Napoli come corso monografico libero per la cattedra di filosofia teoretica”. 

Scopriamo un personaggio divertente, a tratti violento e luciferino, che consegna come unica consolazione la mente e il pensiero filosofico. Fazio non si ferma ai due sommi, ma riscopre i filosofi italiani, quali ad esempio Giuseppe Rensi e Piero Martinetti e li fa apprezzare a un pubblico giovane. La sua filosofia è una pedagogia dell'angoscia, una reazione contraria del suicidio, una consapevolezza nel farsi finire o farla finita, quasi una assonanza vicino a Peter Zapffe, e nella teoresi del filosofo catanese si ritrovano i due che portano il sottotitolo nell’antico pensiero gnostico e in “quel potente strumento conoscitivo che è la tristezza o disperazione nella quale sprofonda l’uomo di genio assillato, anzi schiacciato dall’impotenza data dalla contemplazione del caos del mondo, che egli non può dominare”.

Fazio ci diverte infine quando racconta di scambi epistolari o di cene con Sgalambro, che definiva Cioran un “vecchio lamentoso” da non seguire, o ancora di personaggi che gli telefonavano dichiarandosi ammiratori e lui li mandava al diavolo con determinazione. Come dovrebbe sempre fare uno sano di mente quando qualcuno si dichiarasse suo ammiratore. Come dovrebbe fare Fazio con l’autore di questo articolo.