EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Von der Leyen e Michel, la coppia disfunzionale dell'Ue

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Sul divano di Erdogan s’è visto che i due presidenti europei non vanno d’accordo. I dettagli di questa “guerra piccina” dalle grandi conseguenze  

Da quando Ursula von der Leyen e Charles Michel hanno assunto i loro incarichi, il primo dicembre del 2019, hanno iniziato a litigarsi il ruolo di “presidente dell’Europa” sulla scena internazionale, l’interlocutore unico, quello più autorevole e più credibile. Von der Leyen è presidente della Commissione europea, Michel è il presidente del Consiglio europeo, formalmente hanno competenze e mandati distinti, ma le relazioni internazionali e la leadership spesso trascendono le formalità e comunque se la stragrande maggioranza dei cittadini europei non saprebbe dire che differenza pratica c’è tra la Commissione e il Consiglio  figurarsi se si può pretendere che lo facciano i leader stranieri: conta chi parla, chi compare, chi si presenta, chi prende l’iniziativa, chi si mostra. E così è cominciata la rincorsa, a volte con tratti comici, tra la von der Leyen e Michel, e ogni evento internazionale diventa un pretesto per scatenare quella che i francesi chiamano la “guéguerre”, la guerra piccina tra i due leader che dovrebbero proiettare nel mondo la visione unitaria e coordinata di ventisette paesi. Un esempio: nel giugno del 2020 era organizzato un incontro in videoconferenza con il premier inglese Boris Johnson, per discutere di Brexit – uno dei diecimila “Brexit day” che ci siamo dovuti sorbire di là e di qua della Manica. Chi partecipa dalla parte europea? Discussioni infinite, perché la politica estera e di sicurezza spetta al presidente del Consiglio europeo ma tutte le politiche comunitarie spettano alla presidente della Commissione e il divorzio con il Regno Unito è tutto questo e molto di più. Alla fine si presentano entrambi, accompagnati dal presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, ma subito dopo l’incontro, lo staff di Michel si è gettato sui social per dare per primo il resoconto della conversazione e quindi di fatto intestarsela. La guéguerre è piena di episodi come questi, tanto che la coppia disfunzionale dell’Ue è diventata non tanto materiale da pettegolezzo, ma materiale politico.

 


Essere costretti a condividere un palco, un teleschermo o un divano per loro è diventato  un esercizio insopportabile



Tutta colpa della sedia. Il “sofagate”, cioè la von der Leyen relegata sul divano della sala in cui il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, aveva accolto la delegazione europea, è stato rivelatore. Non solo del disprezzo di Erdogan, di cui eravamo e siamo consapevoli, ma anche del conflitto di ruoli tra la von der Leyen e Michel. Lui si è seduto di fianco a Erdogan: da un punto di vista strettamente protocollare, quello era il suo posto (un accordo istituzionale del primo  marzo del 2011 stabilisce che il presidente del Consiglio europeo viene prima del presidente della Commissione) e infatti la von der Leyen non aveva nemmeno mandato il suo servizio di protocollo ad Ankara. Ma l’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela scappare e così  von der Leyen ha detto di essersi sentita sola e ferita e ha accusato Michel di sessismo.


L’occhio di Ester Viola sulla coppia. Per fortuna noi italiani moderati, di sinistra, insomma gli italiani decenti, siamo molto abituati a mal figurare – ci scrive Ester Viola –  Abbiamo i guai del Pd quindi non ci deprime più niente, quanto a bischerate. L’elettore è la babysitter del suo partito ormai da decenni. Quindi von der Leyen e Michel per noi sono un inedito minuscolo. Fu tutto chiaro, tra quei due, dopo la storia della sedia. Quel giorno, in Turchia, di sedie ce n’erano poche, così l’ultima la prese Charles, Ursula finì sul divano. Iniziarono a circolare fotografie gravi. Crisi di immagine dopo poco, seguirono i quindici minuti di contrizione pubblica. Lui: Non ho più dormito bene da quel giorno. Lei: Mi sono sentita sola. “Come presidente, come donna e come europea”. Sic. Veramente sic. Si poteva dimenticare e passarci sopra, invece si richiese tutto un summit di chiarimento, proprio annunciato dal portavoce dell’esecutivo comunitario Eric Mamer, precisando che i panni sporchi al momento non potevano essere lavati perché Michel e von der Leyen erano divisi da impegni irrimandabili. L’offesa era in Giordania e poi in Germania per rivedere la famiglia, e nel frattempo c’erano molti dossier sul tavolo. E per questo non aveva potuto richiamare Michel, che telefonava a vuoto. Preferivamo non sapere. Mamer rassicurava tutti: “La cooperazione fra von der Leyen e Michel continuerà nell’interesse dell’Ue e dei cittadini”. L’estrema unzione delle alleanze. Pensate quando si dovrà decidere la politica estera dell’Unione, su quella iattura infinita del clima e il piano digitale. Il cittadino europeo è sempre più afflitto, già i pezzi di questo continente si sopportano poco, se poi metti due paesani al comando.


La natura umana dello scontro. Quello tra von der Leyen e Michel è innanzitutto un problema di ego. Entrambi hanno di fatto non molta esperienza. Ursula era stata ministro degli Affari sociali e della Difesa in Germania con Angela Merkel senza mai farsi notare davvero sulla scena europea. Charles è membro di una dinastia liberale in Belgio (il padre Louis era stato ministro degli Esteri e commissario europeo) e aveva conquistato il posto di primo ministro grazie a un’alleanza spericolata con i nazionalisti fiamminghi, ma i suoi cinque anni come premier li ha trascorsi più a cercare di tenere in piedi la sua coalizione che a trasmettere il messaggio del Belgio nell’Ue. L’inesperienza, del resto, era stata uno dei criteri per cui gli alti leader li hanno scelti nel 2019. Come donna e (teoricamente) francofona, von der Leyen andava benissimo al presidente francese, Emmanuel Macron. In quanto belga abituato a infiniti negoziati nel suo paese, Michel andava benissimo alla cancelliera tedesca  Merkel. Nessuno dei due poteva fare ombra – o tenere testa – a Macron e Merkel, ma nemmeno agli altri 25 capi di stato e di governo. Ma poiché ogni lacuna trova la sua compensazione, tutti e due amano follemente i riflettori, vedersi in video, leggersi sui giornali (meno incontrare i giornalisti). Essere costretti a condividere un palco, un teleschermo o un divano per loro è diventato, a tratti, un esercizio insopportabile.

La sostanza del conflitto. La presidente della Commissione esprime la linea di Berlino. Dall’energia al Recovery fund, passando per i vaccini o le restrizioni durante la pandemia, von der Leyen è stata fedele esecutrice della volontà della Germania anche a costo di contraddire sue precedenti posizioni (memorabile è stata la marcia indietro sui viaggi durante la pandemia dopo aver dichiarato che i controlli ai confini non servono perché “il virus non conosce frontiere”). Pur non potendo prescindere dalla Merkel, Michel si è trovato in una posizione più difficile, perché deve fare costantemente i conti anche con l’attivismo e l’impazienza di Macron, non sempre in linea con la cancelliera, e le obiezioni dei paesi del sud e dell’est. Sulla Turchia, mentre von der Leyen era pronta a firmare assegni a Recep Tayyip Erdogan come chiesto dalla Germania, Michel ha dovuto usare toni più duri, riflesso della posizione francese. Di Russia e dintorni von der Leyen si è praticamente disinteressata, lasciando a Michel il compito di girare il vicinato per cercare di mantenere un minimo di influenza europea in Ucraina e Georgia. Sulla Cina, von der Leyen continua a sponsorizzare l’accordo sugli investimenti come Merkel le chiede di fare, mentre Michel esprime dubbi sulla coerenza di un approccio ambiguo verso Pechino. Sull’autonomia strategica, von der Leyen frena ogni passo avanti concreto, quando Michel dichiara che il 2022 deve essere l’anno della Difesa europea.

Le discussioni sulla difesa. Il tema non appassiona la presidente della Commissione, ma a von der Leyen piacciono gli annunci a effetto che finiscono sulle prime pagine. Nel suo discorso sullo Stato dell’Unione davanti al Parlamento europeo a settembre, ha annunciato  un summit dell’Ue sulla difesa durante il semestre della presidenza francese nella prima metà del 2022. “Convocherò con il presidente Macron un vertice sulla difesa europea. E’ tempo che l’Europa passi alla fase successiva”, ha detto la von der Leyen tra gli applausi. In realtà il tema della sicurezza e della difesa era già previsto nell’ordine del giorno del Consiglio europeo ordinario del 24 e 25 marzo, che Michel aveva fatto adottare agli altri leader in giugno. Così lo stesso Michel ha iniziato a dire pubblicamente che sì, ci sarà un vertice in cui si discuterà di difesa, ma che contrariamente a quanto lasciato intendere da Ursula non sarà straordinario. Il 2 ottobre, in occasione del premio Charlemagne, Michel ha comunque annunciato: “Il 2022 sarà l’anno della Difesa europea”.

 


Sono molti i dossier su cui i due sono in competizione. Merkel e Macron non sono affatto estranei a questa rivalità 


 

Le rivalità tra gli staff. I rumor bruxellesi raccontano di riunioni tempestose tra il capogabinetto di von der Leyen, Bjoern Seibert, e quello di Michel, Frédéric Bernard. “A volte sembra che siano sul punto di venire alle mani”, ci hanno raccontato alcune nostre fonti. Come i loro capi, nessuno dei due aveva esperienza nell’Ue prima di mettersi a dirigerla: entrambi sono giovani, ambiziosi e “importati” a Bruxelles dalle loro capitali. Seibert alle volte non risponde alle email e alle telefonate di Bernard, ma si prende la libertà di firmare lettere a capi di stato e di governo di paesi terzi a nome della von der Leyen, come se fosse l’Ue. Bernard ha preso il posto di capogabinetto dopo le dimissioni di François Roux, un diplomatico belga di carriera, che ha lasciato perché disgustato dai metodi degli altri membri della squadra di Michel. Perché ci si lamentava di Roux? Perché con lui Michel era meno visibile della von der Leyen.


Le conseguenze. In un’intervista alla Libre Belgique il 27 aprile 2021, quando il sofagate era ancora nel vivo, proprio François Roux aveva spiegato le conseguenze di lungo periodo per l’Ue e per il suo ruolo nel mondo a causa della rivalità tra la von der Leyen e Michel nel sistema istituzionale a tre teste – presidente della Commissione, presidente del Consiglio europeo e Alto rappresentante – creato con il trattato di Lisbona. Questo sistema può funzionare “a due condizioni: che si mettano d’accordo sulla divisione dei compiti e che siano prudenti in questo settore sensibile per gli stati membri (la politica estera, ndr). Le questioni di ego e le ambizioni personali hanno fatto cappottare il sistema e sarà complicato ripararlo”. Secondo Roux, “il sofagate rivela che la logica di von der Leyen e Michel è quella della conquista del potere e dello scontro, alla quale mi sono sempre opposto, e non quella della collaborazione”. Il problema è che “la loro legittimità a rappresentare l’Ue sulla scena internazionale dipende da ciò che riescono a fare insieme”. I loro predecessori – Herman van Rompuy al Consiglio europeo e José Manuel Barroso alla Commissione, poi Donald Tusk e Jean-Claude Juncker – avevano trovato un “gentlemen agreement”. Oggi non c’è più.


Così von der Leyen e Michel sono costretti ad andare a braccetto a ogni vertice, a ciascun summit bilaterale, a tutte le riunioni che contano nel mondo. Dopo lo scandalo della sedia, ciascun incontro viene negoziato in anticipo dai rispettivi servizi del protocollo: chi si siede dove? chi sta a destra di Joe Biden? chi parla per primo? Poi parlano e  ripetono più o meno le stesse cose, ma aggiungendo qualche piccolo dettaglio o parola non concordata, giusto per farsi un dispetto, per fare irrigidire l’altro in diretta tv, per trovare un alibi, ché le coppie disfunzionali di questo vivono: se qui va tutto male, la colpa è tua. 


(hanno collaborato David Carretta ed Ester Viola) 

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