Euporn - il lato sexy dell'europa

Quanta autonomia serve all'Ue ora che c'e' Biden

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Al vertice 27+1 (e che 1)  si discute di export dei vaccini e dell’equilibrio di una relazione “molto speciale”. Poi AstraZeneca ci farà disperare ancora

Il vertice europeo che si apre oggi ha un invitato che è al tempo stesso un ospite d’eccezione e il più naturale degli ospiti: Joe Biden. Le relazioni transatlantiche hanno occupato buona parte dei discorsi del presidente americano, con la promessa di una restaurazione rapida e decisa: “Siamo tornati”, e gli europei non devono più sentirsi soli. Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, ha fatto l’invito perché vuole condividere gli elementi della “cooperazione futura”, e c’è un certo orgoglio nel poter vantare la presenza di un ventottesimo partecipante anglosassone ma non britannico. Poi però ora vanno riscritte le regole di convivenza, dopo Trump certo, ma anche in un momento di crisi e di continui battibecchi dentro l’Ue e fuori. In cima all’agenda c’è la faccenda delle esportazioni dei vaccini. Come si sa, gli Stati Uniti hanno fin da subito azzerato il dibattito: non si esporta nulla, se non qualche briciola, e pure i vaccini AstraZeneca che non sono autorizzati in America stanno in magazzino (e rischiano di scadere). In Europa invece il dibattito c’è eccome. 

 


Le tre parole chiave dell’export sono: “reciprocità”, “proporzionalità” e “sicurezza degli approvvigionamenti”


 

Sulle esportazioni. La Commissione ieri ha dato una nuova stretta al meccanismo di controllo delle esportazioni di vaccini, introducendo nuovi criteri per permettere di vietare l’export. Nel mirino c’è sempre AstraZeneca. Finora AstraZeneca nel primo trimestre ha consegnato un decimo di quanto previsto. Ma l’attenzione non è più solo sulle società che non rispettano gli impegni contrattuali. Le tre parole chiave introdotte dalla Commissione sono “reciprocità”, “proporzionalità” e “sicurezza degli approvvigionamenti”. Reciprocità significa che i paesi dove si producono vaccini (o ingredienti) devono esportarli per poter ricevere dosi dall’Ue. Proporzionalità vuole dire che sarà tenuto conto della situazione epidemiologica e del tasso di vaccinazione del paese destinatario delle dosi prodotte nell’Ue. Per sicurezza degli approvvigionamenti si intende le forniture complessive a prescindere dalla società farmaceutica. Tradotto: “teoricamente è possibile” vietare le esportazioni di Pfizer-BioNTech anche se rispetta gli impegni contrattuali, dice un alto funzionario della Commissione. Nel mirino c’è il Regno Unito. Ciò che vuole l’Ue è “condividere” i tagli delle forniture, ci spiega un ambasciatore dei 27: se AstraZeneca riduce le consegne dell’80 per cento all’Ue, ci deve essere una riduzione analoga per il Regno Unito. Ieri la Commissione e il governo di Boris Johnson hanno pubblicato una dichiarazione congiunta per dire che “continueranno le discussioni” sulla cooperazione sui vaccini. Ma un “deal” ancora non c’è.

 


Le dosi “nascoste” in Italia di AstraZeneca non erano nascoste e in parte non erano nemmeno prodotte in Europa 


 

I rischi di Ursula. L’intenzione di Ursula von der Leyen può essere buona. Il rischio di calcare troppo la mano però è alto. A gennaio, quando fu adottata la prima versione del meccanismo sul controllo dell’export, von der Leyen provocò un incidente con il Regno Unito e l’Irlanda. Oggi diversi paesi dell’Ue hanno dubbi e temono che l’effetto del controllo delle esportazioni sia controproducente. “Gli stati membri hanno delle visioni divergenti” e alcuni “sono prudenti sull’applicazione di questo meccanismo”, dicono nell’entourage del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Paesi Bassi, Belgio e Irlanda sono nel campo degli scettici. Anche la Germania, che fa i conti con BioNTech, è prudente per via dell’interdipendenza delle catene di approvvigionamento. “Avere un bastone può andare bene, ma usarlo può portare a una soluzione perdente per tutti”, dice un ambasciatore dei 27: sui vaccini l’Ue non “ha raggiunto l’autonomia strategica e, finché non l’abbiamo raggiunta dobbiamo essere molto cauti”.

 

La relazione “molto speciale”. E’ la ragione per cui la Commissione non ha nel mirino gli Stati Uniti. L’Ue ha raggiunto un’intesa di massima con l’Amministrazione Biden per permettere ai vaccini di Johnson&Johnson di attraversare l’Atlantico nelle due direzioni per le operazioni di finitura e infialatura. I lipidi per la produzione del vaccino Pfizer-BioNTech continuano ad arrivare. “La relazione con gli Stati Uniti è molto speciale. C’è molta reciprocità”, spiega l’alto funzionario della Commissione. In ogni caso, Joe Biden non parlerà al Vertice di vaccini con i leader dell’Ue. “Parlerà soprattutto della cooperazione transatlantica, sollevando questioni geopolitiche. La Cina è una di queste. Non penso che sarà sui vaccini”, dice l’ambasciatore. “La buona notizia è che abbiamo un impegno rafforzato dell’Amministrazione Biden verso l’Europa. Ma non salterei a conclusioni sui vaccini: l’Ue è uno dei più grandi produttori al mondo”, spiegano nell’entourage di Michel.

 

La ripartizione delle dosi. In Europa con le redistribuzioni c’è sempre qualche guaio: è come quando si divide la fetta di torta tra i fratelli, sembra sempre che l’altro abbia il pezzo più grosso. Il problema è questo: al momento della conclusione degli accordi di acquisto anticipato, diversi stati membri hanno rinunciato a comprare tutta la quota a loro assegnata sulla base della popolazione dei vaccini di Pfizer-BioNTech, Moderna e Johnson&Johnson perché consideravano AstraZeneca meno caro, più promettente e più facile da somministrare dal punto di vista logistico. Poi AstraZeneca non ha rispettato le consegne e tutto il continente ne ha subìto le conseguenze, in particolare i paesi che hanno scommesso tutto su questo vaccino, cioè Austria, Bulgaria, Croazia, Lettonia, Repubblica ceca e Slovenia. Quando questi paesi hanno rinunciato alle loro dosi aspettando AstraZeneca, altri hanno detto: le prendiamo noi. Lo hanno fatto in particolare Danimarca e Germania e in minor misura Francia e Olanda. Risultato, come dice un documento riservato del Comitato direttivo dell’Ue sulla strategia europea sui vaccini visionato dal nostro David Carretta: sulla base delle proiezioni delle consegne di dosi per i prossimi tre mesi, il tasso di vaccinazione in Danimarca sarà oltre il 70 per cento, mentre nei Paesi Bassi, in Germania e in Svezia si collocherà sopra il 60 per cento. L'Italia, che apparentemente non ha approfittato delle dosi a cui hanno rinunciato altri paesi, è nel gruppo di stati membri che a fine giugno si troverà sulla soglia del 55 per cento assieme a Romania, Grecia, Portogallo e Lussemburgo. Francia, Spagna Irlanda e Belgio sono poco più avanti. La Commissione ha annunciato un accordo con Pfizer-BioNTech per anticipare la consegna di 10 milioni di dosi dal terzo al secondo trimestre. Quei 10 milioni dovrebbero bastare a portare tutti alla soglia del 50 per cento di tasso di vaccinazione entro la fine di giugno. Ma gli altri dovrebbero rinunciare a una parte, relativamente piccola, dei vaccini assegnati pro rata. E non tutti i paesi vogliono farlo, anzi non vogliono farlo con l’Austria di Sebastian Kurz, che non ha perso occasione per lanciare una via tutta sua alternativa a quella europea nella gestione dei vaccini e ora senza la solidarietà europea accumula ritardi. Circola una bozza in cui vengono ripartiti sei milioni di dosi Pfizer tra Bulgaria, Croazia, Slovacchia, Lettonia, Repubblica ceca e Estonia: tutti tranne l’Austria. Kurz vuole mettere il veto a questo compromesso, e per farlo è disposto a prendere in ostaggio anche il Recovery Fund. 

 


Biden ha fatto grandi aperture all’Ue su temi a noi molto cari. Ma vuole che ci sia un cambio di paradigma sulla Cina


 

A proposito di AstraZeneca. Ieri mattina pensavamo di aver scoperto un altro, l’ennesimo, dispetto di AstraZeneca e anche degli inglesi, i soliti. La Stampa riportava che nello stabilimento di Anagni era bloccato un tesoretto di 29 milioni di dosi pronte per essere spedite nel Regno Unito e proveniente dallo stabilimento olandese di Halix, che deve ancora ricevere il via libera dall’Ema, ma che sarebbe in grado di produrre 5 milioni di dosi al mese. Thierry Breton, il commissario europeo per il Mercato interno con una delega ai vaccini, è andato a visitare lo stabilimento di Halix, ha visto la capacità produttiva e a un certo punto si è chiesto che fine avessero fatto le dosi prodotte in Olanda. Non avrebbero potuto lasciare l’Ue senza il consenso dell’Ue, dal primo febbraio è in vigore il controllo dell’export, e quindi dovevano essere ancora da qualche parte. Dai sospetti di Breton è partita la richiesta alle autorità italiane di indagare. Le domande che ci siamo fatti sono state tante: AstraZeneca stava cercando di vendere le dosi a due compratori diversi nello stesso tempo? Sotto gli occhi dell’Italia cercava il modo di spedirle nel Regno Unito? Ne abbiamo viste tante da AstraZeneca e abbiamo imparato a non fidarci, ma se è ancora in debito di dosi nei nostri confronti – ce ne ha consegnate soltanto 16,6 milioni – ci toglie il vaccino per darlo agli inglesi, dopo le promesse infrante? Si sono surriscaldati tutti, gli europei in modo particolare. Gli inglesi sono rimasti tranquilli e hanno smentito. Da Palazzo Chigi è arrivata una nota per dire che sabato scorso la Commissione aveva chiesto di verificare alcuni lotti presso lo stabilimento di Anagni e che dall’ispezione è risultato che i lotti erano destinati al Belgio. Al Belgio? Forse poi AstraZeneca voleva portarli fuori dall’Ue? No, non sarebbe mai stato possibile. Il Belgio serve da piattaforma logistica: centro di controllo qualità e di smistamento. Ma per portare delle dosi fuori dal Belgio c’è bisogno del consenso della Commissione, quindi non sarebbero mai potute arrivare nel Regno Unito.  “AstraZeneca sta immagazzinando decine di milioni di dosi nonostante non rispetti il contratto europeo”, ha scritto su Twitter Manfred Weber. “Sta ad AstraZeneca commentare le sue intenzioni… al momento noi possiamo soltanto dire che è molto lontana dagli impegni contrattuali”, ha detto Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea. E il commento della società farmaceutica alla fine è arrivato. E vien da dire un po’ troppo in ritardo, anche perché non aveva infranto nessuna legge, nessun divieto alle esportazioni, nessun contratto, per questa volta. AstraZeneca ha spiegato che 16 milioni di dosi sono destinate all’Ue e in attesa di verifiche di sicurezza, 13 al progetto Covax. La conferma è arrivata anche da Breton. I 29 milioni di dosi erano ad Anagni perché è lì che sono state infialate, ma non venivano tutte da Halix, né dal Belgio: quelle destinate a Covax venivano dal mercato extra Ue e andavano in Belgio. 

 

L’elefante nella stanza. Formalmente la Cina non è nell’agenda del fitto vertice europeo 27+1. Ma c’è comunque: c’è sempre, gli americani non vogliono che la Cina esca mai dalla retina dei loro interlocutori globali. Degli europei in particolare, che in questi giorni sono piuttosto sensibili. L’Ue ha introdotto le prime sanzioni al regime cinese dai fatti di Tiananmen del 1989; la Cina ha risposto con una serie di controsanzioni estese, che gli europei non si aspettavano. Gli americani invece sì che se le aspettavano, e hanno ribadito: ve l’avevamo detto, con la Cina bisogna avere un approccio coordinato e duro e omnicomprensivo. L’Ue invece, anche sconvolta da quattro anni in cui si è ritrovata senza l’appoggio americano più o meno incondizionato di sempre, è andata avanti con l’accordo commerciale e continua a lavorare sulla costruzione di un cauto dialogo. In questo l’approccio merkeliano è evidente: arrotondare gli spigoli, essere pragmatici. C’è anche il contributo francese: la sovranità europea di Emmanuel Macron unita all’“autonomia strategica” della Commissione. In questo senso, l’Ue ha cercato di ritagliarsi un suo ruolo indipendente dalla Cina e indipendente dall’America. Ora Biden chiede non tanto di rinunciare a questa autonomia (che anzi andrebbe approfondita), quanto di utilizzarla per allinearsi in chiave anti cinese assieme agli Stati Uniti. Benjamin Haddad, a capo del Centro europeo dell’Atlantic Council, dice: “Gli europei dovranno saper affrontare la Cina dopo gli insulti, le intimidazioni e le sanzioni contro gli studiosi e i parlamentari europei. Non si tratta di stare con gli americani, si tratta di difendere la sovranità europea contro i bulli”. 


Il whiskey. Mentre gli europei si tormentavano sulle richieste americane e su questo abbraccio transatlantico che ha sempre un retrogusto amaro, chissà perché, i giornali americani parlavano di whiskey. Il primo di giugno si raddoppiano le sanzioni esistenti sui produttori di whiskey americani, che lavorano in una decina di stati, e che hanno subìto un calo del 37 per cento delle esportazioni nel mercato europeo, che è anche il loro primo mercato. Come spesso accade nelle relazioni, dall’altra parte dell’Atlantico, Biden sembra troppo conciliante con gli europei. E in effetti, è venuto incontro a molte richieste dell’Ue. A inizio marzo c’è stata la sospensione di tutti i dazi relativi alle controversie Airbus-Boeing e sui prodotti non aerei per un periodo iniziale di quattro mesi. Poi il segretario al Tesoro, americano, Janet Yellen, ha detto  che gli Stati Uniti rimuoveranno gli ostacoli esistenti nel negoziato sulla digital tax e sulla minimum tax: un altro avvicinamento significativo. Un paio di settimane fa è arrivato in Europa John Kerry, inviato dell’Amministrazione Biden sul clima, ed è stato stilato un elenco di punti di convergenza sulle politiche green, inaugurato con il ritorno dell’America nel Trattato di Parigi. Anche il dialogo sempre molto complicato con l’Iran è un modo per gli americani di dare seguito alle richieste degli europei che hanno avuto un bruppo colpo dall’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare. In questo senso, Biden ha investito molto sulla ricostruzione del multilateralismo, ma la condizione prima e ultima è altrettanto chiara: insieme su tutto, quindi anche sulla Cina e la Russia. 

 


Bisognerà trovare la quadra fra l’abbraccio transatlantico e le divisioni europee. Draghi sembra un buon mediatore



Trovarsi pronti. La Germania sta attraversando un momento difficile che arriverà almeno fino al 26 settembre, quando ci saranno le elezioni: la transizione di Angela Merkel significa un’ulteriore cautela dei tedeschi in Europa e soprattutto la volontà di non creare alcun genere di scontro con Russia, Cina e Turchia. La Francia di Macron vuole mantenere un’autonomia europea e certo non vuole fare il junior partner degli americani: si vota anche lì, tra l’altro, tra un anno. Mario Draghi ha detto nel suo discorso in Parlamento ieri di voler mantenere il dialogo con i vicini ma di essere altrettanto contento e orgoglioso dell’alleanza transatlantica: il premier italiano potrebbe essere un ottimo interlocutore per Biden, merkeliano e atlantico in un momento in cui ci sono divergenze. Certo, poi bisogna spiegare agli americani anche perché loro comprano formaggio francese senza dazi, e invece noi con il whiskey ci siamo messi a fare tanto gli antipatici.   

 

Una delle battaglie dimenticate dell’Ue è la Bielorussia, dove i cittadini protestano contro il regime di Aljaksandr Lukashenka da agosto dello scorso anno. Lui dice di esser il presidente eletto dei bielorussi, i bielorussi sostengono di non averlo mai eletto e per questo continuano a manifestare da mesi e chiedono il ritorno della leader dell’opposizione, Svjatlana Tikhanovskaya, che vive in esilio in Lituania e cerca di tenere alta l’attenzione degli europei. A maggio ci sarà l’Eurovision che noi seguiamo sempre con molta passione, e la Bielorussia vuole partecipare. Il regime allora si è messo a lavorare in segreto per scegliere chi mandare, e la scelta è caduta sul gruppo Galasy ZMesta con la canzone “I’ll teach you”. Il ritornello canta: “I’ll teach you to dance to the tune / I’ll teach you to peck the bait / I'll teach you to toe the line.” “Ti insegnerò a ballare al ritmo / Ti insegnerò ad abboccare / Ti insegnerò a metterti in riga”. Il regime ha detto che si tratta soltanto di una satira, ma la European Broadcasting Union (Ebu) si è accorta del riferimenti politici e ha chiesto di modificare il testo. Pena: la squalifica. Lo scorso anno la Ebu non aveva accettato i Val per i loro versi contro il dittatore: non è vero che le proteste non servono a niente, ora è il regime di Minsk che non può più dirci che vuole metterci in riga. 

(ha collaborato da Bruxelles David Carretta)

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