I chip più avanzati in cambio di soia. La strategia di Trump con Xi

Giulia Pompili

Trump tende ancora la mano alla leadership cinese, che risponde alzando la posta (e imparando da Putin)

Il piano per l’appeasement fra l’America di Trump e la Cina di Xi Jinping passa per i chip e la soia. Ieri, a sorpresa, con un post sul suo social Truth il presidente americano ha annunciato di aver detto al leader cinese che autorizzerà Nvidia, cioè il colosso più strategico d’America, a esportare in Cina gli H200, cioè i secondi in classifica tra i chip più sofisticati nella loro linea di produzione. In cambio di questa concessione, Trump sostiene che il 25 per cento dei guadagni “sarà versato agli Stati Uniti d’America”. Poche ore dopo, però, si è diffusa la notizia che la leadership di Pechino ha intenzione di regolare (e quindi limitare) l’accesso delle sue aziende tech agli avanzati chip di Nvidia. E’ un’altra concessione alla Cina di Xi da parte della Casa Bianca che viene accolta con sospetto da parte dell’Amministrazione, quella più anticinese, e come un’occasione da Pechino. La strategia trumpiana di mostrarsi forte al tavolo con i forti sta iniziando a mostrare la sua debolezza – non solo quando si tratta di un accordo con la Russia di Putin, ma anche e soprattutto nei negoziati con gli impenetrabili funzionari del Zhongnanhai, il luogo della leadership del Partito comunista cinese, che sanno che nella gara di resistenza il tempo è dalla loro parte, e l’opinione pubblica è ininfluente. 

 


Sin dal 2022 l’America proibisce la vendita verso Cina e Hong Kong delle Gpu più avanzate di Nvidia, quelle specifiche per allenare l’intelligenza artificiale e quelle che superano una certa soglia tecnica. La Casa Bianca di Joe Biden aveva rafforzato la sicurezza nazionale sulle componenti tecnologiche sviluppate in America e messe a disposizione della Cina per avere un vantaggio sulla sua capacità di produzione e per evitare così che alcune tecnologie venissero usate per allenare l’Ai per scopi militari. E così da tre anni alcune tipologie di chip di Nvidia, come le H100 e le A100, sono in cima alla lista dei divieti. Secondo il Nikkei, anche l’H200 di Nvidia “usa memoria HBM3E, un upgrade rispetto ai chip HBM3 montati sul precedente H100”, e fino all’arrivo della nuova generazione Blackwell era considerato il processore per intelligenza artificiale più avanzato della serie Hopper. E’ per questo che il colosso di Jensen Huang non ha mai ottenuto l’autorizzazione per esportare l’H200 in Cina, mentre ora con Trump il perimetro di sicurezza si è spostato: il presidente americano ha detto che non faranno parte dell’accordo sia i chip  Blackwell sia i Rubin, che non sono nemmeno ancora commercializzati. Ieri il Financial Times ha rivelato che, secondo due fonti a conoscenza della questione, “i regolatori cinesi stanno discutendo modi per permettere un accesso limitato all’H200”, e che i potenziali acquirenti dovranno probabilmente “passare attraverso una procedura di approvazione, presentando richieste per acquistare i chip e spiegando perché i produttori nazionali non sono in grado di soddisfare le loro esigenze”. E’ possibile che la Cina voglia spingere le sue aziende a usare chip cinesi, ma in molti pensano che il regolamento, che suona come un “no, grazie”, sia in realtà un metodo negoziale per alzare la posta. Intanto un gruppo bipartisan di senatori ha presentato una legge che potrebbe vietare alla Casa Bianca l’autorizzazione all’export. La senatrice del  Partito democratico Elizabeth Warren ha commentato ieri che “dopo il suo incontro a porte chiuse con Trump e la donazione della sua azienda alla sala da ballo, l’ad Jensen Huang ha ottenuto ciò che voleva: vendere alla Cina il chip di intelligenza artificiale più potente che abbiamo mai commercializzato. Questo rischia di accelerare la corsa della Cina al dominio tecnologico e militare e di minare la sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti. Il Congresso deve agire rapidamente”.  Huang, rockstar del settore tecnologico di origini taiwanesi, nelle ultime settimane ha fatto di tutto per entrare nelle grazie di Trump, e per convincerlo del fatto che vendere alla Cina vorrebbe dire continuare ad avere il controllo sulla produzione dell’alta componentistica tecnologica. Ma non tutti sono d’accordo, e la posizione di Pechino su diversi fronti non fa che aumentare lo scetticismo sulla seconda economia del mondo che si prepara a ridisegnare gli equilibri internazionali. 

 


L’ennesima mano tesa di Trump arriva mentre le Forze armate di Cina e Russia sono nel pieno di imponenti esercitazioni militari congiunte: qualche giorno fa c’è stata la prima esercitazione antimissile dopo otto anni, è stata eseguita in territorio russo e ne è stata data notizia solo al termine dell’addestramento; ieri c’è stato un pattugliamento congiunto aereo sopra il Mar cinese orientale e il Pacifico occidentale, in un’area che comprende anche Taiwan e le acque giapponesi di Okinawa, e il telefono rosso militare fra Tokyo e Pechino sembra “non funzionante” da qualche giorno, secondo la stampa nipponica. Trump intanto vende a Pechino i suoi chip più sofisticati in cambio di maggiori acquisti cinesi di soia americana.
 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.