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cambiamento climatico
Il Green deal in realtà è un Bad deal. Perché l'allarmismo non ci salverà
L'ex presidente di Elettrictà Futura dice che “il cambiamento climatico crea danni insostenibili per l’economia”, in particolare per la popolazione, ma l'economia mondiale è cresciuta di 3 volte negli ultimi 35 anni e la mortalità causata da eventi estremi è in calo
La piaga di Palermo è, come noto, il traffico. E la piaga dell’Italia e del mondo è il cambiamento climatico. Sembra pensarla così, tra i tanti altri, Agostino Re Rebaudengo, ex presidente di Elettricità Futura, secondo il quale “il cambiamento climatico crea danni già adesso insostenibili per l’economia”. Ma è davvero così? Negli ultimi trentacinque anni, nonostante il cambiamento climatico in atto, l’economia mondiale è cresciuta di quasi tre volte e quella cinese, alimentata da un sempre maggiore consumo di combustibili fossili, di ben quattordici volte. Nello stesso periodo il numero di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta è sceso da una su tre a una su dieci. Non lo sappiamo, ma quelli alle nostre spalle sono i migliori anni della vita dell’umanità.
“Ma”, insiste Re Rebaudengo, “i danni climatici sono in primis per la popolazione, oltre che per l’economia”. A smentirlo però sono i dati che ci dicono come da molti decenni la mortalità causata da eventi estremi sia in forte calo nel mondo, più rapidamente nei paesi poveri che in quelli ricchi. Certo, in quelli poveri i rischi sono ancora molto maggiori ma questo dipende dal basso livello di reddito più che cambiamento climatico in atto. E quindi, dalla più limitata capacità di proteggersi dalle avversità meteorologiche. La ricchezza, unita al miglioramento delle conoscenze scientifiche è un farmaco molto potente, nonostante vi siano effetti collaterali. Ma quale medicina non ne ha? In alcuni casi accettiamo di subirne anche di molto pesanti se i benefici conseguiti sono maggiori. E neppure per il futuro il cambiamento climatico è un fattore di rilevanza tale da modificare significativamente il trend di miglioramento delle condizioni di vita nel mondo.
Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, si legge in un paper di Palazzo Koch: “Fatta eccezione per lo scenario estremo Rcp8.5 (ndr, uno scenario oggi del tutto inverosimile), le valutazioni economiche disponibili indicano che l’entità degli effetti dei cambiamenti climatici - rilevante in alcuni settori e aree geografiche - è trascurabile per il complesso del sistema economico italiano”. Il fatto che da trent’anni non cresciamo e il nostro avviarci a un rapido declino demografico sono le nostre vere emergenze, non il clima. Anche perché (de)crescita economica e demografica dipendono da noi, mentre il nostro clima dipende al 99 per cento da quello che faranno gli altri. È giusto che l’Italia e l’Europa facciano la loro parte per il clima (rispettivamente l’1 per cento e il 6 per cento delle emissioni mondiali), ma senza eccessi di zelo. L’attuale politica sostenuta da Bruxelles, che si prefigge una riduzione delle emissioni del 90 per cento al 2040 e che qualche effetto non proprio positivo sull’economia continentale sembra averlo avuto, è per il cambiamento climatico l’equivalente di una cura omeopatica: interviene su una piccola parte del problema, con costi molto elevati. Non a caso, chi ha provato a fare i conti, ha stimato che il rapporto costi/benefici è molto negativo, con i primi che sono dieci volte superiori ai secondi: il green deal è un bad deal.
Dunque, la narrazione catastrofista sul clima sembra strumentale a rinsaldare un consenso sempre più traballante. Chi la promuove accusa spesso e volentieri di “negazionismo” (ora declassato, da alcuni, al meno grave reato di “riduzionismo”) chi descrive nei corretti termini il problema e le implicazioni delle politiche adottate: ossia la condizione necessaria perché si possano allocare in modo efficiente le risorse scarse di cui disponiamo. L’alternativa è quella di proseguire con una operazione che riuscirà male e con un paziente, se non morto, almeno tramortito.