Il nuovo Pentagono woke-free di Trump e Hegseth è un vantaggio per Russia e Cina

Giulia Pompili

Dalla Marine Corps Base in Virginia, generali e ammiragli convocati in fretta la scorsa settimana hanno assistito a una rivoluzione militare America First’ tra critiche al ‘woke’, strategie improvvisate e tensioni con gli alleati. Mentre gli avversari si organizzano

La segretissima riunione dei generali delle Forze armate americane, indetta dal segretario alla Guerra Pete Hegseth una settimana fa, e su cui si era speculato molto, non è stata nient’altro che una convention sulla trasformazione Maga dei militari d’America. Ieri alla Marine Corps Base di Quantico, luogo mitologico delle Forze armate più forti del mondo, sono volati generali, ammiragli, comandanti da tutto il mondo su ordine del Pentagono, in una riunione inedita che ha sollevato qualche dubbio anche sulla sicurezza – la catena di comando militare americana si tiene su un equilibrio delicato, e molti media nei giorni scorsi avevano parlato dell’inopportunità di lasciare scoperte alcune aree in un momento così cruciale per il mondo e per la Nato. Alla forma solenne dell’assemblea sembrava dover corrispondere un annuncio altrettanto solenne, o quantomeno riservato. E invece il discorso di  Hegseth – e poi quello del presidente americano Donald Trump – sono stati trasmessi in streaming, a portata di occhi e orecchi anche dei nemici dell’America, e l’importante messaggio che il segretario alla Guerra doveva trasmettere alle sue Forze armate era: siete troppo grassi. Siete troppo barbuti. Siete troppo femminei. In una parola: siete troppo woke. Poi è salito sul palco Trump (la sua presenza all’inizio non era prevista), e per più di un’ora ha parlato a braccio a una platea immobile e in silenzio, ripetendo i suoi cavalli di battaglia contro le amministrazioni democratiche, sulle elezioni “truccate” nel 2020, sulle “sette guerre” terminate da lui, ma ha aggiunto alcuni temi come il possibile impiego delle Forze armate “nelle città pericolose come campi di addestramento”, ha parlato dei sottomarini nucleari americani che ha mandato sulle coste russe (e parlando di nucleare: “Io la chiamo la parola con la N. Ci sono due parole con la N, e non si può usare nessuna delle due”), e ha detto che alcune navi militari americane sono “brutte”. 
Il Pentagono è in una fase di profondo caos, dopo il licenziamento di molti generali e ammiragli sin dall’inaugurazione di Trump, e senza un apparente motivo formale.  Hegseth, braccio operativo di Trump nelle Forze armate, sta cambiando le priorità del dipartimento senza un sostegno da parte di analisi e intelligence, in una trasformazione osservata da vicino da paesi ostili come Russia e Cina.

 

 

Ieri il Washington Post ha raccolto alcuni commenti da parte dei vertici militari. Hegseth vuole una nuova strategia di Difesa nazionale che promuova l’America First, e alcuni di loro, parlando in forma anonima con i giornalisti, hanno parlato di una trasformazione che rischia di cancellare decenni di deterrenza, con il concreto rischio di un ritiro della presenza americana all’estero – per esempio in Europa, dove il contributo alla Nato è vitale. Inoltre, nella nuova strategia di difesa di Trump non ci sarebbe abbastanza preparazione per un eventuale conflitto con la Cina, in caso, per esempio, di invasione di Taiwan ma anche per quel che riguarda la competizione strategica. Secondo un’esclusiva del Wall Street Journal, la Casa Bianca starebbe pensando di non restare più nella tradizionale politica americana di non sostenere l’indipendenza di Taiwan, ma vorrebbe passare a un’opposizione esplicita a essa, che, tra le altre cose, cambia la postura americana in caso di attacco cinese.  Nei giorni scorsi ci sarebbero state pressioni sui vertici politici del Pentagono per chiedere alle aziende produttrici di raddoppiare o addirittura quadruplicare i ritmi di produzione dei missili. I militari sarebbero allarmati “dalle scarse scorte di armi che gli Stati Uniti avrebbero a disposizione per un potenziale futuro conflitto con la Cina”, ha scritto il Wall Street Journal. Nel frattempo, secondo alcuni documenti analizzati dal centro studi Rusi, la leadership cinese si fa aiutare dai russi a imparare a combattere. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.