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l'analisi

No, non è stato il clima folle. Perché il blackout spagnolo mette a nudo molti tabù energetici

Chicco Testa

Il disservizio elettrico in Spagna ha sollevato dubbi sulla tenuta di reti troppo dipendenti dalle rinnovabili. Per garantire stabilità, servono investimenti in infrastrutture e forse un ripensamento sul nucleare

Ci vorrà ancora tempo per una ricostruzione esatta di quali siano state le cause del blackout che ha colpito la Spagna e, tangenzialmente, il Portogallo. Già poco dopo l’accaduto, circolava un’ipotesi alquanto fantasiosa – poi ufficialmente smentita – che attribuiva la responsabilità a “vibrazioni atmosferiche” che si verificherebbero in presenza di fenomeni climatici estremi. Per la verità, le temperature spagnole rientravano perfettamente nella norma di un bel giorno assolato di primavera, ma – tanto per cambiare – dare la colpa al cambiamento climatico è sembrata al giornalista collettivo la spiegazione ideale.

Sotto indagine, con qualche prima ammissione, è invece il modello spagnolo fortemente sbilanciato verso le rinnovabili. La Spagna è un paese con una superficie due terzi più grande dell’Italia e 10 milioni di persone in meno, quindi con grandi spazi liberi, e con ventosità sulle coste dell’Atlantico forte e costante. Al contrario dell’Italia. Il che ha favorito fortemente la crescita delle rinnovabili. Che, per come si sa, possiedono – oltre al pregio di produrre energia decarbonizzata – un paio di difetti. Il primo, come noto, è l’intermittenza e la disponibilità per un tempo limitato; ma il secondo è la contemporaneità, vale a dire che con il sole e con il vento producono tutte assieme. Il che le priva di due qualità fondamentali per una fonte energetica: la programmabilità (produco energia quando mi serve) e la frazionabilità (ne produco quanta mi serve).

Per il sistema elettrico, che ha bisogno in ogni momento di essere perfettamente bilanciato tra offerta e domanda, questo rappresenta un problema serio, che viene mitigato grazie a sistemi informatizzati di controllo – le smart grid – e alla disponibilità di impianti modulabili, tipicamente alimentati da fonti fossili, chiamati a “salire” quando la produzione rinnovabile cala e a “scendere” quando invece essa cresce. Sembrerebbe che proprio uno squilibrio provocato da un salto nella produzione fotovoltaica sia la causa del blackout. Fra l’altro, sono saltati fuori un certo numero di impianti solari “clandestini”, allo scopo di evitare di pagare le tasse. In ogni caso, il sospetto è forte e questo ha chiamato schiere di esperti a indagare sui problemi creati da una massiccia penetrazione delle rinnovabili. Alle quali, però, evidentemente non si può rinunciare. Ma limitarne la penetrazione a una soglia alta ma controllabile – intorno al 60% – sembrerebbe una buona scelta, per non doversi affidare esclusivamente ai capricci delle stesse.

Inoltre, occorre essere consapevoli che la loro penetrazione esige ingenti investimenti nelle reti: per collegare le migliaia di impianti che compongono il panorama delle rinnovabili, per connetterli in modo intelligente alla rete nervosa dell’elettricità, per trasportare l’energia da dove viene prodotta a dove viene consumata – in Italia, tipicamente, dal Sud al Nord – per installare grandi batterie in grado di agire sinergicamente con le rinnovabili accumulandone gli eccessi e rilasciandoli quando serve, e per disporre di impianti di riserva in grado di intervenire svolgendo funzioni di backup.

La rete italiana, che sta molto meglio di quella spagnola, ha già avviato e realizzato gran parte di questi investimenti, grazie al lavoro di Terna e di Enel Distribuzione. Ma pretendere che le rinnovabili superino certe soglie e integrarle senza rischi nel sistema potrebbe essere, anche per noi, un compito troppo arduo. Senza considerare i costi, che aumentano esponenzialmente. Inoltre, i sistemi di accumulo non reggono diversi giorni di non produzione, cosa che capita in caso di maltempo prolungato, e quindi abbiamo comunque bisogno di fonti stabili e programmabili.

Inutile dire che, se si vuole contemporaneamente perseguire il doppio obiettivo della decarbonizzazione e della stabilità, la scelta nucleare è la scelta migliore – come si affanna a spiegare da tempo anche il ministro Pichetto Fratin. E gli spagnoli, dopo questa botta, sembra vogliano ripensare la scelta di abbandonarlo.

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