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editoriali

Israele non è solo. L'assenza al funerale del Papa si è notata, il paese non si chiuda in se stesso

Redazione

Né il presidente Herzog né il premier Netanyahu ha presenziato alle esequie di Francesco. Ma adesso lo stato ebraico deve cercare appigli e non isolarsi

Da Israele né il presidente Herzog, né il premier Netanyahu, né i ministri sono partiti per presenziare al funerale di Papa Francesco e per quanto fosse presente l’ambasciatore  presso la Santa Sede, Yaron Sideman, l’assenza dello stato ebraico, dopo il pasticcio delle condoglianze, si è notata. Come ha mostrato la serie di incontri nati attorno alle esequie, il funerale non è soltanto l’occasione per ricordare il Pontefice, ma anche un punto di incontro: chi conta c’è. Anche chi non conta c’è, e c’è proprio per far vedere al mondo che ha un posto tra gli uomini che fanno la storia. Il rapporto fra Israele e il Papa non è stato semplice, il Pontefice non ha mai sostenuto lo stato ebraico neppure nei suoi momenti più duri, ha avuto un approccio di parte.

Le famiglie degli ostaggi avevano molto apprezzato il giorno in cui erano state ricevute in Vaticano. Lo scorso anno, poco prima dell’attacco di aprile da parte  Repubblica islamica dell’Iran contro Israele, l’Economist pubblicò un numero con una copertina quanto mai poco visionaria: la bandiera dello stato ebraico sola nel mezzo delle sabbie del deserto. Il titolo era: Israel alone, Israele è solo. Poco dopo, la risposta all’attacco iraniano dimostrò che invece gli alleati pronti a difendere Israele erano forti e uniti. Capita sbagliare copertina, ma oggi sembra quasi che sia Israele a voler gridare: siamo soli e stiamo bene così. Israele è accerchiato, combatte una guerra su sette fronti, le minacce come Hezbollah in Libano sono ridotte, ma deve badare che non recuperino la loro forza. Hamas continua a organizzarsi nella Striscia di Gaza. Gli houthi mandano missili, in Siria c’è un regime ancora sconosciuto.  E soprattutto gli Stati Uniti sono ansiosi di firmare un accordo sul nucleare iraniano con Teheran a qualsiasi costo. Anziché chiudersi, Israele deve cercare appigli, soprattutto con chi combatte guerre esistenziali come la sua, come l’Ucraina. La collaborazione segreta è vitale, ma a volte anche la diplomazia fa la differenza. 

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