il rapporto

Gazprom alla canna del gas

Giulia Pompili

Le sanzioni europee funzionano. E nemmeno la Cina è pronta a salvare il gas russo

Mentre ieri si apriva il Forum economico di San Pietroburgo, “uno dei più grandi e importanti del mondo” e fiore all’occhiello della diplomazia economica del presidente russo Vladimir Putin, sulla prima pagina del Financial Times finiva un rapporto, commissionato da Gazprom a una società esterna e non finanziata dal Cremlino, sulla crisi del colosso energetico russo. Nelle 151 pagine gli esperti indipendenti – che il quotidiano inglese non rivela – spiegano che l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, e le conseguenti sanzioni europee, hanno di fatto messo in ginocchio una delle società più importanti per Mosca, ed è improbabile che le esportazioni torneranno alla media pre bellica di 50-75 miliardi di metri cubi all’anno prima del 2035. Ma c’è di più: lo studio rivela che difficilmente nuovi accordi con paesi energivori come la Cina potranno sopperire alle perdite subite nelle esportazioni in questi anni.  E questo soprattutto a causa  dei prezzi asiatici del gas, che sono molto più bassi di quelli europei. 


I dati dello studio pubblicato dal Financial Times certificano la crisi sistemica del colosso statale Gazprom, che ha il monopolio russo sulle esportazioni di gas: già il mese scorso, quando sono stati resi noti i dati sul bilancio annuale per il 2023, si è discusso molto di quella perdita sorprendente da 6,4 miliardi di euro, che aveva fatto calare le azioni dell’azienda al 4,4 per cento. Gazprom è funzionale non solo per l’economia di guerra del Cremlino, ma è anche un pezzo molto importante della sua propaganda anti occidentale. Adesso è ufficialmente svelata l’illusione, dopo il 24 febbraio del 2022, che l’isolamento economico russo da parte dell’Europa avrebbe potuto essere interrotto da qualcun altro. 


In questa fase, Gazprom avrebbe bisogno di intensificare il suo rapporto energetico con la Repubblica popolare cinese, ma questo è l’unico argomento sul quale, a quanto pare, Mosca e Pechino stanno prendendo tempo. A metà maggio scorso, prima della visita del presidente Putin nella capitale cinese, il Cremlino aveva fatto sapere di aspettarsi la firma e il via libera definitivo del nuovo gasdotto Power of Siberia 2. Il leader Xi Jinping aveva accolto Putin in modo fraterno, raddoppiando le dichiarazioni a favore della partnership e dell’amicizia fra i due paesi, firmando diversi accordi e memorandum: ma non il Power of Siberia 2. Dopo anni di negoziati, Pechino è ancora molto cauta sul gasdotto, e secondo alcune fonti ascoltate dal Financial Times si tratta solo di trattative e di pragmatismo tipicamente cinese: l’accordo è ancora sospeso perché “la Cina ha chiesto di pagare prezzi vicini a quelli della Russia, pesantemente sovvenzionati, e ha detto che acquisterà solo una piccola frazione della capacità annuale prevista del gasdotto, pari a 50 miliardi di metri cubi di gas”. Il Power of Siberia 2 sarebbe un sostegno vitale per Gazprom, perché collegherebbe direttamente il mercato cinese ai giacimenti di gas della Russia occidentale che un tempo rifornivano l’Europa. La Repubblica popolare, però, sa di essere in una posizione di forza con il Cremlino, e sta cercando di ottenere le condizioni migliori nel caso specifico, mentre protegge la Russia politicamente sul piano internazionale, e ne sostiene l’economia in diversi altri settori, secondo diverse agenzie di intelligence anche con equipaggiamenti dual use per la Difesa. 

Nel frattempo, il terzo Forum economico di San Pietroburgo, la “Davos russa”, sin dall’inizio della guerra perde definitivamente d’influenza e capacità attrattiva: un tempo frequentato anche dai leader occidentali, quest’anno ospita delegazioni di paesi amichevoli con Mosca (il paese ospite d’onore è l’Oman) e diversi panel di discussione sulla “fine dell’Europa” e la “demonizzazione russa da parte dell’occidente”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.