terrorismo ripreso

Dietro le quinte dei video di Hamas

Micol Flammini

I terroristi della Striscia usano le stesse tecniche dello Stato islamico. Chi è stato in ostaggio racconta le prove, la regia, i testi e la strategia della pressione sulle famiglie di chi è prigioniero

Il 7 ottobre, i terroristi di Hamas hanno sfondato il confine tra la Striscia e Israele armati e muniti di telecamere. Avevano il mandato di riprendere tutto, ogni violenza, uccisione. L’intento era poi di creare un grande racconto del pogrom compiuto contro gli israeliani, avere materiale per raccontare le gesta violente e per fare proseliti, radicalizzare. Mercoledì le famiglie di alcune ragazze ancora tenute in ostaggio nella Striscia hanno voluto pubblicare un video di quando le ragazze sono state rapite per fare pressione sul governo e chiedere di negoziare con più forza e accettare tutto. Il governo israeliano ha risposto emanando delle nuove linee guida per portare avanti le trattative e l’Egitto starebbe riaprendo i contatti tra Israele e Hamas per ravvivare i colloqui in fase di stallo. La regola dello stato ebraico di mostrare la sofferenza del 7 ottobre il meno possibile, di far vedere soltanto a un pubblico selezionato le immagini registrate da Hamas sta cadendo, perché il paese ha bisogno di provare, di raccontare, mentre più di centoventi ostaggi sono ancora nella Striscia senza che Hamas voglia dire se sono vivi o sono morti. 


Dei filmati e del rapimento degli israeliani Hamas ha fatto una strategia, proprio come lo Stato islamico. Anche i video degli ostaggi vengono pubblicati per fare pressione contro lo stato ebraico, ma è la loro realizzazione che racconta la regia dei terroristi, consapevoli di quanto sia potente l’immagine. Alcuni degli ostaggi che sono stati rilasciati durante l’ultima tregua hanno raccontato come sono stati costretti a posare davanti alle telecamere, a imparare i testi voluti da Hamas, secondo uno  schema imposto dai terroristi. Meirav Tal era stata rapita dal kibbutz di Nir Oz ed è stata liberata lo scorso novembre, mentre il suo compagno è morto e il suo corpo è ancora nelle mani dei terroristi. Tal ha raccontato di come ogni ostaggio sia stato costretto a registrare ore di filmati. Uno dopo l’altro venivano messi davanti alla telecamere: “Tutto è già scritto”. Nei video infatti si nota uno stesso schema: prima le accuse contro il governo israeliano, poi il racconto dei bombardamenti, la richiesta di aiuto e infine i messaggi personali alle famiglie. L’ultima parte strazia i parenti, già dilaniati dall’ansia e dal dolore. Secondo il calcolo di Hamas e del Jihad islamico, che pure ha preso parte al 7 ottobre e tiene in ostaggio alcuni cittadini israeliani, i parenti divorati dall’angoscia protesteranno, creando una pressione interna che deve far cedere il governo e costringerlo ad accettare un accordo a qualsiasi costo. Le famiglie non sanno nulla degli ostaggi, non ricevono loro notizie dal 7 ottobre e i video sono un segnale, ma nello stesso tempo accrescono le emozioni, la rabbia, la disperazione. Tutto è studiato e per questo nel momento in cui i video vengono girati i terroristi vogliono che siano perfetti, vengono fatte anche delle prove. Quando Tal è stata messa davanti alla telecamera la prima volta è scoppiata a piangere e le hanno ordinato di rifare la scena senza piangere, doveva essere più chiara. In una seconda registrazione, appariva troppo rilassata e le hanno ordinato di sembrare spaventata. Tal ha raccontato che esistono ore di girato mai mostrate, non tutto è uscito e alcune immagini mirerebbero invece a mostrare come vengono trattati gli ostaggi. Una volta i terroristi hanno imbandito una tavola, hanno ordinato agli ostaggi di sedersi: “Era una completa bugia, in realtà mangiavamo tutti da un unico piatto”, ha detto Tal al canale  Keshet 12. La regia è rigida, i video vengono controllati, vengono messi i sottotitoli e di solito i media israeliani si rifiutano di pubblicarli: sono filmati di propaganda e non vogliono agevolarne la diffusione. Ne scrivono, ne parlano, ma senza mostrare per intero il filmato. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)