L'occhio di Hamas sulle ragazze rapite il 7 ottobre

Micol Flammini

Le famiglie delle soldatesse della base di Nahal Oz hanno chiesto di pubblicare il video del momento in cui le loro figlie sono state picchiate, legate, prese in ostaggio. Cosa è successo all'unità 414

“Queste sono le donne fertili”, dice il terrorista, usando un termine che in arabo vuol dire ragazze o donne che possono rimanere incinte. Seduto davanti al gruppo di soldatesse dell’unità 414 della base di Nahal Oz, l’uomo di Hamas le guarda, insanguinate e picchiate nei loro pigiami, loro non capiscono l’arabo, dicono di avere amici a Gaza, chiedono anche di poterli chiamare. I terroristi le tengono immobilizzate, sedute per terra, con le mani dietro la schiena, tra loro c’è anche Naama Levy, la ragazza che il 7 ottobre veniva stipata dentro una jeep con una macchia di sangue dietro ai pantaloni, che raccontava ogni violenza del giorno in cui Hamas ha fatto irruzione nei Kibbutz israeliani per uccidere, violentare e rapire. 

 

 

Le famiglie di Liri, Karina, Agam e Daniella, quattro soldatesse prese in ostaggio assieme a Naama, hanno chiesto di pubblicare un nuovo video del giorno in cui le loro figlie sono state rapite e portate a Gaza. Sono immagini prese dalle telecamere che i terroristi avevano addosso quel giorno, volevano filmare tutto, tutte le violenze, il male, la sofferenza degli israeliani per poterli mostrare. 
Le ragazze sono ancora in ostaggio, non si sa se siano vive o morte, e le famiglie hanno voluto pubblicare il video come un messaggio chiaro, senza aggiungere parole: questo è stato l’inizio, da duecentoventinove giorni queste ragazze vivono prigioniere di Hamas, portatele a casa. Il messaggio è interno, è al governo, per chiedere di accettare qualsiasi accordo con i terroristi pur di liberare le ragazze. Hamas si rifiuta di dire quanti ostaggi siano vivi, questa mancanza di informazioni costringe Israele a negoziare al buio. 

 
Le soldatesse erano nella base di Nahal Oz, vicino al confine con la Striscia, per prestare il servizio militare. Il loro compito era di tenere gli occhi sui monitor che trasmettevano le immagini dal confine, sono le tatzpitaniyot, gli occhi dei confini che conoscono a memoria ogni punto della frontiera. Era da tre mesi che segnalavano movimenti strani, esercitazioni, una presenza assidua dei miliziani, ma non sono state ascoltate. Non lo sapevano, ma stavano osservando  la preparazione al giorno in cui sarebbero state rapite, e quella notte dai monitor hanno visto i bulldozer di Hamas sfondare il confine e dirigersi verso di loro, senza che le soldatesse avessero le armi per difendersi. Quindici sono state uccise il 7 ottobre, sette sono state rapite, una di loro, Noa Marciano, è morta durante la prigionia. Ori Megidish è stata liberata dall’esercito. Naama Levy, Agam Berger, Daniella Gilboa, Karina Ariev e Liri Elbag sono ancora in ostaggio. (m.fla)

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)