Matti Friedman - foto Facebook

Tra Gaza e occidente

"Hamas perderà, ma vincerà a sinistra. Per Israele è un problema". Parla Matti Friedman

Giulio Meotti

"L’opinione pubblica occidentale delle società liberal e di sinistra temo sia persa. Forse l’Europa, alle prese con una grande immigrazione islamica, sarà più comprensiva di Israele, ma In occidente, al di là di Israele, c’è una follia generale", dice al Foglio lo scrittore israelo-canadese

La seconda settimana dell’ottobre del 1973 fu una delle peggiori nella storia di Israele. Il giorno del digiuno ebraico dello Yom Kippur, la Siria e l’Egitto lanciarono attacchi a sorpresa. Leonard Cohen era già una star internazionale. Tre anni prima al festival di Wight, dopo Joan Baez e Jimi Hendrix, Cohen aveva incantato tutti. E ora Cohen si trovava nel deserto del Sinai disseminato di carri armati e cadaveri carbonizzati per suonare a  gruppi di soldati con una cassa di munizioni come palco. “Sono sceso nel deserto per aiutare i miei fratelli a combattere”, scriverà Cohen. “Venne qui in Israele nel 1973, in un momento drammatico per questo piccolo paese”, dice al Foglio Matti Friedman, giornalista e scrittore israelo-canadese che al grande musicista nello stato ebraico ha dedicato “Il canto del fuoco” (Giuntina). “Oggi gli artisti hanno paura della controversia”, dice Friedman: “Prendi Matisihau, è cancellato per il sostegno a Israele. C’è codardia e paura di assumere una posizione forte”.
 

Matti Friedman dice che il problema non riguarda solo gli artisti. “Hamas sta perdendo a Gaza, ma vincendo nella sinistra occidentale, che ha sicuramente più simpatia per Hamas che per Israele. La sinistra ha abbandonato i suoi ideali delle società industriali per essere affascinata dalla violenza antioccidentale. Dov’è tutta la sua sensibilità per l’oppressione di gay, donne e minoranze? È pericoloso per Israele e per l’occidente, perché abbiamo bisogno di alleati in occidente, ma è pericoloso soprattutto per l’élite intellettuale. Negli anni Sessanta e Settanta, la sinistra ha subito una mutazione. Si sono innamorati di Frantz Fanon e della lotta contro l’occidente, l’America, Israele e il capitalismo, con  la giustizia rappresentata da movimenti non bianchi che sono completamente regressivi. Non è solo il vecchio antisemitismo, ma una nuova tendenza antioccidentale in cui gli ebrei sono il capro espiatorio di tutto. Israele rappresenta un po’ tutti i mali dell’occidente in questa visione del mondo: coloniale, militare, bianco, occidentale. È anche un modo molto più efficace per mobilitare l’opinione pubblica”.
 

Come finirà a Gaza, difficile dirlo. “Per un gruppo come Hamas, la vittoria non è come la intendiamo noi, come una tregua giapponese con gli americani”, ci dice Friedman. “A loro non importa che possano uscire dalle rovine di Gaza e annunciare la ‘vittoria’. Ci credono davvero. Qui tutto può cambiare in un minuto e quindi ogni previsione è scritta sulla sabbia”. Friedman dice che i media occidentali si sono inventati un medio oriente che non esiste. “È ovvio che la storia del medio oriente e del Nord Africa dei nostri tempi è caratterizzata dall’ascesa di tensioni violente e contrastanti dell’islam e dallo spostamento di queste ideologie e dei loro seguaci verso l’occidente. Si fa un grande sforzo per oscurare tutto questo, anche se il fenomeno è visibile dall’Algeria attraverso la Siria, lo Yemen e l’Iraq fino all’Afghanistan, e dalle torri gemelle al teatro Bataclan, al lungomare di Nizza e all’Arena di Manchester. Per un giornalista in Israele, le principali incarnazioni locali del fenomeno sono il Movimento di Resistenza Islamica (Hamas) e il Jihad islamico tra i palestinesi e la formidabile milizia del Partito di Dio (Hezbollah) in Libano, tutti  alleati con la Repubblica islamica dell’Iran, tutti impegnati a forgiare un nuovo ordine islamico, tutti esplicitamente impegnati a cancellare l’insopportabile sacca di sovranità ebraica sullo 0,2 per cento del territorio del mondo arabo. Durante il mio periodo sulla stampa, ci si aspettava che girassimo educatamente in punta di piedi attorno ai due miliardi di aderenti all’islam e facessimo finta che la storia chiave della regione fosse un gruppo di sei milioni di ebrei che opprimevano una minoranza, i palestinesi, che volevano solo uno stato pacifico accanto a Israele. Poiché si trattava per lo più di fantasia, io e i miei colleghi siamo stati costretti a contorsioni sempre più ridicole mentre ‘costruivamo sovrastrutture emotive su eventi che non erano mai accaduti’, per usare le parole di George Orwell, e seppellivamo gran parte di ciò che stava realmente accadendo. Orwell avrebbe compreso il rifiuto di molti osservatori dei nostri tempi di credere ai dettagli degli omicidi, degli stupri e dei rapimenti di Hamas del 7 ottobre, mentre sarebbero stati ansiosi di credere qualche settimana dopo che Israele aveva deliberatamente bombardato un ospedale”.
 

Cosa aspettarsi, dunque? “L’opinione pubblica occidentale delle società liberal e di sinistra temo sia persa, anche se l’opinione pubblica non conta sempre. Forse l’Europa, alle prese con una grande immigrazione islamica, sarà più comprensiva di Israele, così come nel mondo della politica estera ti rispettano se hai potere. Quindi Israele può uscire da questa guerra con un risultato soddisfacente in medio oriente, anche se dovesse significare un divorzio con l’opinione pubblica occidentale, che per uno come me è fonte di grande preoccupazione. In occidente, al di là di Israele, c’è una follia generale”.

  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.